Il dopo elezioni purtroppo non lascia intravedere soluzioni e assetti politico-istituzionali per durata ed efficacia di cui anche vicende come quelle ambientali avrebbero avuto e hanno bisogno.
Non per questo si dovrà rinunciare sul piano nazionale, regionale e locale a mettere a punto una seria agenda ambientale in grado di ricomporre le sparse membra di gestioni e norme scombinate, spesso sovrapposte e inadeguatamente finanziate, raramente governate in ‘leale collaborazione’.
Stagno nella Riserva di Decima-Malafede
Una situazione d’insieme a tal punto contraddittoria che agli effetti perversi dei tagli finanziari si accompagna, ad esempio, anche in più d’un caso l’incapacità di utilizzare risorse disponibili non solo comunitarie, che richiedono una capacità di progettazione che è andata via via perdendo quota anche in ambiti fondamentali. Vale per la messa in sicurezza del suolo, per la tutela del paesaggio, per le politiche integrate dei parchi e delle aree protette nonché per le politiche agricole e della pesca.
Anche il nuovo titolo V della Costituzione che aveva suscitato legittime aspettative per un nuovo governo del territorio coinvolgente stato, regioni ed enti locali impegnandoli finalmente a collaborare e non solo a farsi la guerra, ha fatto la fine delle politiche di programmazione e pianificazione di cui praticamente non è rimasta più traccia fin dai tempi di Ciampi. La prima condizione per cercare di uscire dall’attuale cul de sac è quella di evitare ogni tentazione settorialistica. Prendiamo tre aspetti sicuramente determinanti sotto questo profilo; la messa in sicurezza del suolo, la tutela del paesaggio e il ruolo dei parchi e delle aree protette per la tutela della biodiversità. Ai primi di febbraio si è tenuta la Conferenza nazionale sul rischio idrogeologico il cui governo previsto dalla legge 183 ha registrato notevoli mutamenti anche -ma non solo- sulla base di direttive comunitarie. Ora ai bacini idrografici si sono aggiunti e sovrapposti i Distretti in più d’un caso con effetti negativi che i rispettivi piani dovranno riuscire a superare raccordandoli e integrandoli. Sul paesaggio oltre alle vicende alla Pompei si registra sul piano normativo solo la sua sottrazione ai piani dei parchi proprio nel momento in cui anche la Convenzione europea chiede che tutto il territorio sia considerato paesaggio. Sul fronte dei parchi registriamo –certo non solo per questa norma- una crisi gravissima di ruolo, d’immagine e operativa con il tentativo addirittura di estromettere le regioni da ogni competenza sulle aree protette marine, grazie alla legge approvata dal senato che ora qualcuno vorrebbe affibbiare in eredità al nuovo parlamento. Sui parchi si è insomma cercato di scaricare sulla legge quadro le responsabilità politiche del governo -e non solo- che quella legge hanno ignorato e snobbato alla stessa stregua della 183.
Lo sfondo –diciamo così- istituzionale nel frattempo anziché procedere verso quel federalismo responsabile e collaborativo in grado di stabilire una pari dignità istituzionale tra i diversi livelli non soltanto elettivi ha via via cancellato i consigli di quartiere ossia quegli organi di partecipazione al governo locale a cui è seguita l’abrogazione delle comunità montane a cui si sono aggiunte le province la cui cancellazione è solo rimandata. Un contesto del tutto scombinato con un centro che si affanna solo a ricentralizzare confusamente più competenze che può mentre la dimensione regionale sembra sempre più impegnata in un centralismo su scala ridotta alle prese con un ruolo di fatto solo comunale per di più malmesso. Sono così saltati di fatto oltre livelli intermedi importanti e hanno visto ridimensionarsi ruoli determinanti di questi soggetti preposti a politiche di piano non meramente urbanistiche come i parchi e le aree protette e i bacini idrografici.
E’ quindi da qui che urge ripartire dopo i troppi silenzi elettorali per aprire l’impegno e la disponibilità delle istituzioni a tutte quelle realtà civiche oggi mobilitate a sostegno dei beni comuni.
Una disponibilità di cui hanno bisogno primaditutto le istituzioni se non vogliono isolarsi ulteriormente dai problemi della società. Alcune delle iniziative come abbiamo promosso o stiamo promuovendo come Gruppo di San Rossore dimostrano che non vi sono altre strade da battere. Noi lo faremo ma certo non basta.
E non basta neppure lo stimolo del vasto e variegatissimo associazionismo se non riuscirà più di quanto è avvenuto finora a mettere a punto precise proposte che si misurino con quel nuovo assetto istituzionale di cui abbiamo bisogno. Insomma non basta la protesta e la denuncia occorre più proposta ai livelli giusti.