Mentre in Italia si levano voci discordanti sulla partecipazione del Paese alle operazioni militari inLibia, il cui comando è ormai in mano alla NATO, “nuove” rivolte sono scoppiate in Siria, Yemen e Giordania.
Lunedì, durante una riunione dell’Assemblea Generale dell’ONU, il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano è intervenuto a difesa della la missione internazionale in Libia: “Intervento legittimo che protegge i civili” lo ha definito. In Italia c’è però chi la pensa in maniera differente,come il ministro dell’Interno Roberto Maroni, che ha reso pubbliche le sue perplessità sull’impegno italiano tramite un intervista al Corriere delle Sera. “E’ stato un errore partecipare alla guerra, avremmo dovuto comportarci come la Germania. Forse chi ha voluto questi raid non ha analizzatole illimitate capacità finanziarie del Raìs, non ha saputo valutare la sua forza”. C’è poi chi, come il ministro degli Esteri Franco Frattini, elabora una nuova proposta per risolverela crisi libica: imporre il cessate il fuoco monitorato dalle Nazioni Unite, istituire un corridoio umanitario permanente, coinvolgere i gruppi tribali nell’elaborazione della costituzione e un impegno forte dell’Unione africana e della Lega araba. A questo punto qualcuno potrebbe chiedere: e Gheddafi? Per lui l’unica soluzione sarebbe l’esilio.
Nel frattempo, mentre in Libia gli scontri fra i ribelli e le forze fedeli al Colonnello non sembrano allentarsi, così come il tira e molla del controllo delle città, nuovi disordini stanno continuando asconvolgere la penisola arabica. Nell’ultimo fine settimana in migliaia sono scesi nelle piazze dellaSiria, dello Yemen e della Giordania per protestare contro i rispettivi regimi.
Il popolo Siriano attende il discorso annunciato dell’attuale presidente Bashar al-Assad. Circolano già voci su un cambio di governo. “L’attuale esecutivo”, come riferiscono fonti governative di Damasco citate dalla tv panaraba al Arabiya, “è sul punto di dimettersi e se ne formerà un altro incaricato di servire meglio gli interessi dei cittadini”. Per adesso l’unica decisione presa, o quasi,è l’abrogazione dello stato di emergenza non appena entrerà in vigore la legge per l’antiterrorismo in corso di elaborazione. Le leggi di emergenza, entrate in vigore subito dopo la presa di potere da parte del partito Baath nel marzo 1963, impongono restrizioni alla libertà di riunirsi e dispostarsi e consentono l’arresto “di sospetti o di persone che minacciano la sicurezza”. Queste leggi sono estremamente restrittive per l’attività giornalistica, perché permettono di sorvegliare le comunicazioni, effettuare controlli preliminari su quanto pubblicano i giornali e diffondono le radio e ogni altro mezzo di informazione. L’abrogazione della legge, che conferisce poteri speciali alle forze di sicurezza, è una delle richieste dei manifestanti che da giorni protestano contro il regime siriano.
Nello Yemen la situazione è scottante, tanto che il presidente Ali Abdallah Saleh, al potere dal1978, ha annunciato, davanti ai suoi fedeli ammassati in strada, di voler abbandonare la guida delPaese “per evitare un bagno di sangue”. Ma il presidente reclama garanzie sul futuro che attenderàlui e la sua famiglia. Pretende l’immunità: non ha nessuna intenzione di fare la fine di Mubarak,attualmente indagato per corruzione.L’occidente assiste con non poca preoccupazione a ciò che sta accadendo nel Paese, importantealleato degli USA nella lotta al terrorismo. Di fatti l’organizzazione terroristica islamica ha nelloYemen la sua rete più ampia e potrebbe sfruttare il momento di crisi per espandersi ulteriormente.
Nel week end scorso la situazione si è scaldata anche in Giordania. Dopo mesi di proteste contro il caro vita e per richiedere riforme democratiche, per la prima volta le forze dell’ordine hanno usato la forza contro i dimostranti provocando numerosi feriti. Il presidente dell’Associazione degli ingegneri giordani, Salem Falahat, si è conseguentemente scagliato contro il governo per la violenza sui manifestanti e ha annunciato di volersi dimettere dal Comitato per il dialogo nazionale creato dall’esecutivo per mettere a punto un piano strategico di riforme. ”Non voglio più far parte di questo comitato. Mi unirò ai manifestanti e appoggerò le loro richieste per le riforme”, ha detto all’ANSA.
L’effetto domino delle rivolte è stato imponente. Il primo trimestre del 2011 passerà alla storia come il trimestre delle rivoluzioni dei popoli oppressi da dittature personalistiche. È auspicabile che quest’anno possa essere ricordato anche come l’anno della democrazia.
Caro Luigi,
per scontato non viene dato nulla.
Non credo che le rivolte popolari che stanno sconvolgendo il Nord Africa e il Medio Oriente ormai da mesi non siano reali. Stiamo parlando di rivolte alla cui base ci sono giovani studenti e laureati che hanno preso consapevolezza della loro forza e che richiedono con conscienza il rispetto dei diritti fondamentali. La globalizzazione e l’abbattimento delle barriere informative, permettono ormai da molti anni, ai popoli dei Paesi in questione di conoscere modi di vita diversi dal loro e da cui sono affascinati. Credo sia questo consapevolezza, unita alla stanchezza per la mancanza di libertà che li spinge a ribellarsi.
l’articolo da’ per scontata la bontà delle notizie che arrivano dal medio oriente.
a me risulta che in siria ci siano radunate oceaniche a favore dell’attuale presidente e che le proteste contro di lui siano invece marginali e soprattutto sponsorizzate da israele.
in questo momento l’informazione che ci giunge dal medio oriente e dal nord africa è pesantemente manipolata.
basta alle guerre del petrolio!