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“Rapporto sulla trasparenza” di Google: ecco quanto siamo spiati

In Italia nell'ultimo semestre 2012 l'azienda statunitense ha ricevuto ben 846 richieste di accesso ai dati personali su un totale di 1.051 utenti, delle quali il 34% è stato soddisfatto

Scritto da Giuseppe Mirabella il 29.01.2013

Secondo il “Rapporto sulla trasparenza” di Google pubblicato il 23 Gennaio, nel 2012 le richieste di dati personali da parte delle forze dell’ordine USA sono aumentante del 34% rispetto al 2011. Soltanto il 22% di queste è autorizzato da un giudice, mentre nel 68% dei casi gli investigatori si avvalgono dell’Electronic Communications Privacy Act (“ECPA”), legge che permette di ottenere informazioni private senza un mandato esplicito. Il restante 10% è costituito da provvedimenti giudiziari di varia natura.

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Come si spiega che la polizia possa accedere ai dati di chiunque senza che un tribunale la autorizzi? Con la citazione in giudizio, un’azione legale permette in via cautelare di accedere alla privacy di un indagato.
Da Giugno a Dicembre 2012, 14.791 utenti gmail sono stati oggetto della “curiosità” degli investigatori USA, per un totale di 8.438 richieste. Se aggiungiamo a queste ultime quelle relative al resto del mondo, raggiungiamo la cifra di ben 21.389 richieste su un totale di 33.634 accounts.
Dal 2009 istanze di questo tipo sono aumentate del 70%. Google tiene a precisare che l’88% delle richieste è stato soddisfatto, mentre per il restante 12% si è ritenuto di non dover agire.

Per quanto riguarda il nostro Paese, nell’ultimo semestre 2012 l’azienda statunitense ha ricevuto ben 846 richieste su un totale di 1.051 utenti, delle quali il 34% è stato soddisfatto.
Un altro interessante dato reso noto, è il numero di “richieste di rimozione” di contenuti indesiderati. Considerando il periodo Gennaio/Giugno 2012 – i dati relativi all’ultimo semestre dell’anno devono ancora essere pubblicati – le richieste sono state complessivamente 1791, per un numero altissimo di contenuti sospetti.
Le ragioni sono molteplici: per la metà dei casi si tratta di diffamazione e violazione della privacy, per il restante 50%, si va dalle critiche ai governi al furto d’identità, dall’incitamento all’odio alle offese alla religione.

In Italia, 25 sono state le richieste di rimozione per un totale di 274 elementi sospetti di cui il 68% è stato riconosciuto doloso.
Negli Stati Uniti il numero sale a 273 per le richieste di rimozione, su un totale di 4167 contenuti indesiderati: cifre più alte giustificate dal maggior numero di utenti Google.
É interessante a questo riguardo riportare alcune delle osservazioni presenti nel rapporto: si tratta di casi recenti, in cui il motore di ricerca americano ha deciso di non rimuovere il materiale oggetto di accusa.
Nel caso della Cina per esempio, Google ha ricevuto “da un ufficio provinciale una richiesta di rimozione di un risultato di ricerca che indirizzava a un sito che si riteneva diffamasse un funzionario governativo”; negli USA hanno ricevuto “cinque richieste e un’ingiunzione del tribunale per la rimozione di sette video di critica ad enti statali locali e nazionali, a forze dell’ordine e a funzionari pubblici”.
In India invece sono stati rimossi 360 risultati di ricerca “i quali rimandavano a 360 pagine web contenenti video per adulti in presunta violazione della privacy personale di un privato”; a Monaco sono stati eliminati 4 video su YouTube per la violazione della vita privata di uno dei membri della famiglia reale; infine in Italia, un privato ha denunciato la Camera dei Deputati perché alcuni risultati di ricerca “rimandavano a pagine del sito ufficiale della stessa, in presunta violazione” della sua privacy. In questo caso si è deciso “di non rimuovere i contenuti in risposta a tale richiesta” e di indirizzare il privato “al webmaster del sito della Parlamento”.

Google chiude il rapporto con l’invito alle aziende operanti sul web a rendere noto il numero dei dati personali che giornalmente vengono comunicati alle forze dell’ordine: un’iniziativa importante che non esaurisce il dibattito sulla violazione della nostra privacy nell’era digitale.

Fonte: http://googleblog.blogspot.it/

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