Il 99° incontro annuale della Ecological Society of America, attualmente in corso a Sacramento, California, ospita nella giornata odierna un simposio dedicato ad approfondire gli effetti impressi dai cambiamenti climatici sui predatori, organismi viventi ai vertici della catena trofica. Fra i casi presentati, quello della lontra di mare (Enhydra lutris), gravemente minacciate dalle azioni dell’uomo e ora anche dai cambiamenti climatici
L’affascinante predatore acquatico appartenente alla famiglia dei mustelidi, tra il 1700 ed il 1900 aveva una popolazione stimata in diverse centinaia di migliaia di esemplari dall’Alaska alla Bassa California, che è stata letteralmente decimata per ricavarne pelliccia da commercio. Oggi le stime parlano di 106mila esemplari rimasti nel mondo, di cui meno di 3000 in California.
La predazione è un essenziale meccanismo di regolazione delle popolazioni, ed i predatori giocano un ruolo chiave ai fini del mantenimento di ecosistemi stabili e diversificati. Basti pensare ad una piramide in cui, procedendo verso la base, ogni livello, rappresentato da una o da un gruppo di specie predatrici, regoli quello sottostante, che a sua volta si comporta similmente nei confronti del successivo. Diventa così intuibile come la scomparsa di uno o più livelli provocherà cambiamenti nell’intera struttura.
Non tutti riusciranno ad adattarsi alle nuove condizioni: ci saranno vincitori e vinti, ed è chiaro, secondo gli ecologi, come il modificarsi dei delicati equilibri tra risorse e consumatori lungo tutta la catena trofica si ripercuoterà, in ultima analisi, sugli ecosistemi stessi.
Come i cambiamenti climatici siano inscindibilmente legati alla scomparsa delle specie è presto detto: basta che gli organismi, spinti a migrare dalle modificate condizioni, si spingano al di fuori del loro areale climatico naturale, per dare così vita ad una cospicua serie di effetti “a cascata”.
“La quasi-estinzione della lontra di mare”, commenta Rebecca G. Martone, ricercatrice al Center for Ocean Solutions dell’Università di Stanford”, “rappresenta uno degli esempi più drammatici di impatto indotto dall’uomo sulla struttura e sul funzionamento di ecosistemi costieri marini temperati”.
Negli Stati Uniti sono presenti due diverse sottospecie del mustelide: la più settentrionale, Enhydra lutris kenyoni, diffusa tra isole Aleutine, Alaska del Sud, British Columbia e e Washington. L’altra invece, Enhydra lutris nereis, conosciuta anche come lontra di mare della California, abita le acque costiere californiane tra le contee di San Mateo e Santa Barbara.
In mare aperto, vere e proprie foreste acquatiche di Laminariales, alghe giallo-brune che crescono sui fondali oceanici fino a sfiorare la superficie, vengono attivamente difese dalle lontre di mare che, nutrendosi avidamente di erbivori come molluschi, vongole, granchi, cozze, gamberi e ricci, proteggono, insieme alle alghe, tutti gli organismi che nella foresta oceanica trovano riparo e cibo.
Per afferrare l’importanza di questi mustelidi nella regolazione ecosistemica è utile tenere presente un dato: potendo contare, ai fini della regolazione termica, sulla sola pelliccia, una lontra di mare è costretta a mangiare, ogni giorno, almeno per il 25% del suo peso corporeo.
Unica in grado di cibarsi degli spinosissimi ricci di mare, svolge un ruolo chiave nella difesa delle foreste acquatiche di Laminaria. Senza di lei ed in presenza di orde di famelici masticatori quali i ricci, il rigoglioso paesaggio della vegetazione subacquea si ridurrebbe ben presto ad una landa desolata. Non soltanto infatti verrebbe a mancare l’alga, ma con lei tutti i piccoli organismi che abitano i microambienti da lei forniti. Tra questi magari alcuni pesci, e conseguentemente gli uccelli che li mangiano. Scomparse le alghe, significativamente inferiore sarebbe poi la quantità di carbonio stoccato, che pure tampona sensibilmente le modificazioni del clima.
Le conseguenze ecologiche dei cambiamenti climatici sono ormai evidenti, dalle regioni terrestri polari agli ambienti marini tropicali. Studi come quello condotto da Rebecca G. Martone, se da un lato contribuiscono a prevedere le conseguenze a livello ecosistemico, dall’altro, ampliando la conoscenza delle interrelazioni lungo una catena trofica, forniscono prezioso supporto scientifico ed indirizzando le politiche ambientali possono aiutare a mitigare gli effetti più negativi del fenomeno.