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Come le acque acidificate danneggiano l’ecosistema marino

Scritto da Marta Gaia Sperandii il 15.07.2013

Secondo uno studio condotto dall’Università della California a Davis, l’acidificazione degli oceani agisce sull’intero ecosistema marino, riducendo numero e varietà di specie presenti, alterando l’equilibrio generale e generando effetti negativi a catena.  

L’indagine, proponendosi di analizzare come una elevata presenza di anidride carbonica nelle acque influisca su dinamiche intracomunitarie e capacità di recupero del sistema, ha dimostrato come condizioni di ph più acido, limitando lo sviluppo di organismi che giocano un ruolo chiave nel mantenimento di un equilibrio sistemico, favoriscano specie più tolleranti e a rapida crescita, come le alghe.

Oceani

L’universo subacqueo si presenta all’uomo come una tela variopinta, popolata da anemoni, spugne di mare, un variegato patrimonio di flora e fauna dai colori e dalle forme più disparate. Tale spettacolo è garantito anche e soprattutto dalla presenza di determinate specie che si nutrono di alghe, la cui caratteristica tendenza invasiva uniformerebbe altrimenti lo spettacolo cui siamo abituati. 

Lo scenario che ha fatto da cornice alla ricerca è quello del Castello Aragonese, che sorge sul versante orientale dell’isola d’Ischia. Un luogo che per via delle consistenti emissioni di CO2 di origine vulcanica si configura come laboratorio naturale, creando aree a differenti gradienti di acidità.

I ricercatori hanno selezionato tre zone caratterizzate dall’avere livelli di acidità bassi, elevati, e molto elevati, ipotizzando così di rappresentare rispettivamente lo scenario attuale, al 2100 ed al 2500. Avendo cura di rimuovere piante ed animali dalle rocce, le tre postazioni sono state monitorate e fotografate per tre anni, per documentare in ognuna la capacità di recupero del sistema.

Da quanto è emerso, siti non acidi sono stati colonizzati da una ricca varietà di specie. La presenza di ricci, lumache di mare, ed altri organismi dotati di scheletro calcareo, “brucatori” di fondamentale importanza nell’equilibrio dell’ecosistema marino, ha tenuto in questo caso a freno lo sviluppo indiscriminato delle alghe.

Al contrario, nelle zone caratterizzate da elevati ed elevatissimi livelli di acidità gli “erbivori del mare”, di cui è stata provata l’estrema vulnerabilità ad acque ricche di anidride carbonica, sono risultati assenti o inattivi, causando ripopolamenti in larga parte prevedibili e caratterizzati da una dominanza algale. 

L’acidificazione degli oceani quindi, inibendo la presenza ed il comportamento di tali “erbivori marini”, non soltanto danneggia ed impoverisce la comunità marina sotto un profilo visivo ed ecologico, ma intaccandone le dinamiche interne e modificando le interazioni tra specie, provoca, secondo l’autore principale Kristy Kroeker, “una perdita di diversità funzionale”. 

La ricerca, che ha visto la collaborazione di Maria Cristina Gambi della Stazione Zoologica Anton Dohrn di Napoli e Fiorenza Micheli dell’università di Stanford, è stata pubblicata dalla nota rivista scientifica Proceedings of the National Academy of Sciences ed è tuttora disponibile online.

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