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Studio USA trova legami tra diabete e inquinamento da polveri sottili. Italia nel medioevo

Scritto da Redazione di Gaianews.it il 30.09.2010

Boston, Stati Uniti – Uno studio epidemiologico ha trovato una forte e coerente correlazione tra diabete negli adulti e inquinamento atmosferico da particolato – o polveri sottili -, che resiste anche dopo aver ripulito le statistiche da influenze di altri fattori di rischio come l’obesità e l’etnia. Il rapporto ha analizzato anche livelli di esposizione al di sotto degli attuali limiti di sicurezza dell’EPA, l’agenzia americana che stabilisce i parametri di salubrità dell’aria.

Il rapporto dei ricercatori del Children’s Hospital di Boston, pubblicato nel numero di ottobre di Diabetes Care, è tra i primi studi epidemiologici su larga scala per collegare i casi di diabete con l’inquinamento atmosferico. Esso è coerente con gli studi di laboratorio precedenti, che avevano trovato un aumento della resistenza all’insulina, un precursore del diabete, in topi obesi esposti a particolato, ed un aumento dell’infiammazione (che può contribuire alla resistenza all’insulina) in topi obesi e diabetici, dopo l’esposizione al particolato.

Come gli studi di laboratorio, lo studio attuale si è concentrato sul particolato fine di 0,1-2,5 nanometri (noto come PM2,5), un componente principale di smog, fumi e gas di scarico dei veicoli a motore. I ricercatori, guidati da John Pearson e John Brownstein del Children’s Hospital Informatics Program, hanno raccolto i dati ottenuti contea per contea sull’inquinamento PM2,5 dalla Environmental Protection Agency (EPA), che coprono ogni contea degli Stati Uniti tra il 2004 e il 2005 (la situazione in Italia è disastrosa, non abbiamo nessuna o rarissime rilevazioni e la normativa sui limiti è entrata in vigore solo nel maggio del 2010).

Poi hanno combinato i dati dell’EPA con i dati del Centro per il Controllo delle Malattie (CDC) e del censimento degli Stati Uniti per verificare la distribuzione del diabete tra gli adulti e per regolare i fattori di rischio noti per il diabete, come l’obesità, l’esercizio fisico, la latitudine geografica, la provenienza etnica e la densità di popolazione (che misura il grado di urbanizzazione).

“Abbiamo voluto fare tutto il possibile per ridurre i possibili fattori collaterali e garantire la validità dei nostri risultati”, afferma Pearson, primo autore dello studio.

In tutte le analisi, c’è stata una forte e coerente associazione tra la presenza di diabete e le concentrazioni di PM2,5. Per ogni aumento di 10 μg/metro cubo nell’esposizione al PM2,5, c’è stato un aumento dell’1 per cento della prevalenza del diabete. Questo risultato è stato osservato nel 2004 e nel 2005, ed è rimasto coerente e significativo quando sono state utilizzate diverse stime di esposizione al PM2,5.

“Non abbiamo avuto i dati sull’esposizione individuale, per cui non possiamo provare la causalità e non possiamo sapere esattamente il meccanismo per cui questa gente si ammala di diabete”, riconosce Brownstein. “Ma l’inquinamento si revela un modo formidabile per predire l’icidenza del diabete in tutti i nostri modelli”.

Anche fra le contee che rientrano nei limiti dell’EPA per il grado di inquinamento, quelle con un grado maggiore di presenza di particolato PM2.5 avevano un aumento di più del 20 per cento nella prevalenza del diabete, dati confermati anche dopo aver rimosso l’influenza di altri fattori di rischio per il diabete.

“Da una prospettiva politica, i risultati suggeriscono che i limiti attuali dell’EPA per l’esposizione non possono essere sufficienti per evitare conseguenze negative per la salute pubblica”, spiega Brownstein.

“Molti fattori ambientali possono contribuire al diabete negli Stati Uniti e nel mondo”, osserva Allison Goldfine, capo della ricerca clinica al Joslin Diabetes Center e coautore dello studio. “Mentre molta attenzione è stata correttamente attribuita a comportamenti come l’eccesso calorico e la vita sedentaria, altri fattori possono fornire nuovi approcci alla prevenzione del diabete”.

Sulla base dei loro risultati, i ricercatori vogliono approfondire lo studio analizzando contemporaneamente diversi fattori ambientali nel diabete, oltre che cercare di capire i meccanismi infiammatori nel diabete e il ruolo del PM2,5.

“Vogliamo migliorare l’accesso dei dati a livello individuale sul diabete e l’esposizione”, aggiunge Brownstein. “Abbiamo anche un interesse a indagare questo risultato a livello internazionale dove le norme possono essere meno rigorose”.

Situazione in USA e Italia

Gli Stati Uniti hanno iniziato a porsi il problema delle polveri sottili nel 1987 e da decine di anni hanno limiti alle polveri sottili che l’EPA fissa per il particolato sia di tipo PM10 che di quello PM2,5, più pericoloso perché penetra più profondamente nei polmoni. Per il PM2,5 i limiti sono di 15 e 35 microgrammi per metro cubo su base annuale e giornaliera rispettivamente (fonte EPA, in inglese). Questo significa che nel corso di un anno non si possono superare in media i 15 microgrammi giornalieri e i picchi giornalieri non si possono superare i 35 microgrammi.

In Europa, solo nel 2008 la Commissione Europea ha emanato una direttiva (2008/50/EC) che detta limiti di qualità dell’aria con riferimento anche alle PM 2,5. L’Italia ha recepito la norma solo a maggio di quest’anno. Possiamo quindi immaginare le condizioni dell’aria nelle nostra città senza nessun tipo di controllo.

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  • filippo scrive:

    ma a noi italiani che ci frega….noi abbiamo Veronesi a rassicurarci.