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Non solo cibo, per i potenti incisivi di un roditore gigante del Pliocene

Scritto da Leonardo Debbia il 13.02.2015

Un nuovo studio, condotto da ricercatori dell’Università di York e dalla Hull York Medical School (HYMS), nel Regno Unito, ha scoperto che il più grande roditore esistito sulla faccia della Terra potrebbe aver usato i suoi incisivi proprio come fa un elefante con le sue zanne.

Josephoartigasia monesi, un enorme roditore strettamente legato alle attuali cavie, vissuto in Sud America nel Pliocene, tra i 4 e i 2 milioni di anni fa, è il più grande roditore rinvenuto allo stato fossile.

La sua massa corporea è stata stimata in 1000 chilogrammi e le sue dimensioni erano paragonabili a quelle di un bufalo. Aveva, infatti, una lunghezza di 3 metri per un’altezza di circa 1 metro e mezzo. I suoi incisivi erano lunghi più di 30 centimetri ed era vegetariano.

La specie è stata riconosciuta e studiata, partendo dal fossile di un cranio della lunghezza di 53 centimetri, rinvenuto in Uruguay.

Il dr Philip Cox, del Centro per le Scienze anatomiche e umane del Dipartimento di Archeologia dell’HYMS e docente dell’Università di York ha usato modelli al computer per stimare quanto abbia potuto essere potente il morso di questo roditore gigante.

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Raffigurazione di Josephoartigasia monesi (credit James Gumey)

Cox ha scoperto che, anche se la forza del morso era enorme – intorno ai 1400 Newton, simile a quella di una tigre – i denti incisivi avrebbero comunque potuto sopportare una forza tre volte superiore, sulla base delle stime precedenti fatte da altri studiosi, quali il dr Andrei Rinderknecht, del Museo Nacional de Historia Natural di Montevideo e il dr Ernesto Blanco dell’Istituto di Fisica presso la Facultad de Ciencias di Montevideo, che per primo descrisse il fossile nel 2008.

Il dr Cox ha dichiarato: “Abbiamo concluso che Josephoartigasia deve aver utilizzato i suoi incisivi anche per attività diverse dal semplice mordere, come, ad esempio, per scavare nel terreno alla ricerca di cibo o per difendersi da eventuali predatori. Di fatto, questa capacità è molto simile a quella di un elefante attuale nell’uso delle zanne”.

La ricerca, pubblicata sul Journal of Anatomy, è stata condotta impiegando una tomografia computerizzata dell’animale e ricostruendo virtualmente il suo cranio, che è stato poi sottoposto, per definirne l’analisi degli elementi costituenti, ad una tecnica ingegneristica che misura e quantifica lo sforzo e la deformazione in un oggetto geometrico complesso.

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