Secondo un recentissimo studio pubblicato su Nature Climate Change, le foreste di conifere che popolano la porzione sud-occidentale degli Stati Uniti potrebbero estinguersi entro il 2100.
Il gruppo di scienziati è giunto a questa preoccupante conclusione analizzando dati raccolti in campo e producendo complessi modelli computazionali.
I potenziali responsabili di questo drammatico scenario sarebbero il costante aumento delle temperature ed i periodi di aridità intensa e prolungata.
L’area esaminata comprende, tra gli altri stati, l’intera Arizona ed alcune aree di New Mexico, California, Colorado, Utah e Texas. Si tratta di una regione semi-arida che, secondo lo U.S. Department of Agriculture Forest Service, ospita 11 foreste nazionali che coprono vastissime superfici.
La vegetazione caratterizzante quest’area è il cosiddetto Pinyon-Juniperon, una foresta dominata da pini come Pinus monophylla, Pinus edulis, e da alcune specie di ginepri, come Juniperus osteosperma e Juniperus occidentalis. Si tratta di una fitocenosi che storicamente ha ben tollerato le condizioni climatiche regionali, e quindi la scarsità d’acqua. Tuttavia, i picchi di mortalità riscontrati persino tra le specie più resistenti a seguito di stagioni particolarmente aride, come furono ad esempio quelle del 2002-3, hanno spinto gli scienziati ad indagarne le cause, per evidenziare possibili relazioni con il cambiamento climatico che condiziona globalmente il nostro pianeta.
Ad allarmare gli scienziati è stata in particolare la morìa di ginepro, che storicamente, tra le conifere, è quella che ha meno risentito della mancanza di precipitazioni.
Gli esperimenti di campo, guidati dall’autore principale Nate McDowell, si sono concentrati in una foresta del New Mexico. Qui, nell’arco di 5 anni i ricercatori hanno simulato condizioni di aridità crescenti alle quali l’80% dei pini non ha resistito, mentre altre specie hanno mostrato segni di forte stress.
Parallelamente sono stati elaborati sofisticati modelli computazionali a crescente complessità, con l’intento di scoprire come queste foreste affronteranno i cambiamenti climatici che ci aspettano, e soprattutto in che modo risponderanno a condizioni di crescente aridità. La co-autrice del lavoro Sara Rauscher, dell’Università del Delaware, ha costruito i modelli utilizzando otto diverse simulazioni, ciascuna basata su una differente temperatura di superficie dell’oceano. Questo perché, tra le variabili che influenzando il regime di precipitazioni condizionano conseguentemente la vegetazione, la temperatura di superficie dell’oceano è una delle più significative.
In media, i risultati forniti dai modelli sono molto preoccupanti: entro il 2050 si estinguerà il 72% di queste foreste, che complessivamente scompariranno entro il 2100.
Come se non bastasse, alcuni fattori potrebbero accelerare l’avverarsi di questo scenario: incendi più severi e più frequenti, aumento nelle popolazioni di insetti, diminuzione nella percentuale di rinnovazione affermata tra le piante.
Previsioni tragiche, che tuttavia lasciano ancora spazio ad un flebile miraggio di salvezza.
Il modello non ha infatti preso in considerazione la capacità di adattamento dell’intero ecosistema né l’eventuale esistenza di rifugi, aree che, come è avvenuto nell’ultimo periodo glaciale, conservando condizioni climatiche pressoché inalterate potrebbero permettere la sopravvivenza di alcune di queste specie fino all’avvento di nuove e più permissive condizioni ambientali.
Infine, come afferma Sara Rauscher, “rimane sempre la speranza che riducendo le emissioni di carbonio e continuando a dedicarci alla questione dei cambiamenti climatici queste proiezioni finiscano per non avverarsi”.