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Ecosistemi marini. La “zona morta” degli oceani più letale del previsto

I ricercatori hanno trovato che gli effetti combinati di bassi livelli di ossigeno e basso pH hanno portato ad una crescita più lenta di diversi molluschi

Scritto da Leonardo Debbia il 19.01.2014

Le ‘zone morte’ dell’oceano, le regioni cioè con livelli di ossigeno troppo bassi per ospitare la vita marina, sono cresciute di numero fino a diventare una caratteristica delle regioni costiere di tutto il mondo.

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Uno dei molluschi utilizzati nello studio, la vongola dura o Mercenaria mercenaria (crediti: NOAA)

Una ricerca, che Christopher Gobler, docente della School of Marine & Atmospheric Sciences presso la Stony Brook University di New York, ha effettuato insieme al suo team, dimostra che i bassi valori del pH di queste regioni rappresentano un’ulteriore minaccia, finora non compresa appieno dagli studiosi, per tutti gli organismi degli oceani.

I risultati sono stati pubblicati sul numero di gennaio della rivista scientifica Plos ONE.

Per decenni i biologi hanno studiato gli effetti delle basse concentrazioni di ossigeno sulla vita marina, senza considerare i valori del pH, vale a dire l’acidità delle acque.

In realtà le acque con bassi livelli di ossigeno sono anche acque acidificate, ma sono finora mancate le opportune ricerche che indagassero su come questi due fattori, agendo insieme, riescano ad influenzare la vita nel mare.

In una serie di esperimenti su esemplari giovani di capesante e vongole dure – organismi marini di indubbio valore economico ed ecologico – i ricercatori hanno trovato che gli effetti combinati di bassi livelli di ossigeno e basso pH hanno portato ad una crescita più lenta di questi molluschi e a più elevati tassi di mortalità rispetto all’azione di un singolo fattore che avesse agito da solo.

La pubblicazione intitolata “Ipossia e acidificazione hanno effetti negativi additivi e sinergici sulla crescita, la sopravvivenza e la metamorfosi della prima fase della vita dei bivalvi”, scritto da Gobler, in collaborazione con il prof. Hanness Baumann, ecologo marino, e Elizabeth Depasquale e Andrew Griffith, ricercatori della Stony Brook University, riporta le importanti implicazioni che la presenza di queste ‘zone morte’  comportano anche per i cambiamenti climatici.

“Zone a basso contenuto di ossigeno in ecosistemi oceanici aperti si sono ampliate notevolmente negli ultimi decenni, una tendenza che gioca a favore del riscaldamento climatico”, afferma Gobler. “Ormai sappiamo che queste zone si accompagnano ad una acidificazione degli oceani indotta dalla presenza sempre più rilevante di anidride carbonica in atmosfera e che queste condizioni diverranno sempre più comuni in futuro”.

Lo studio ha ricevuto il consenso di Mark Green, docente al Saint Joseph’s College del Maine, USA, esperto degli effetti dell’acidificazione sui molluschi marini.

“Il rapporto tra pH ed ossigeno è ben documentato in zone vicine alle coste, come sostengono gli autori, ma l’effetto combinato dei due fattori è rimasto ignorato”, ha commentato Green.

“Questa ricerca è un passo importante e si ritiene che sarà ben accolta, in particolare da quegli scienziati che finora hanno lavorato per capire l’effetto dei bassi livelli cronici di ossigeno sulla fisiologia degli organismi marini”.

Il prof. Baumann ritiene che questo studio possa cambiare il metodo di indagine per una più appropriata ricerca nelle ‘zone morte’.

“Suggeriamo che la scoperta del devastante pericolo derivante da un valore basso del pH riscontrato in molti pesci e molte larve di crostacei, allorché venga combinato con una bassa percentuale di ossigeno nei molluschi, dovremmo auspicare un incremento degli studi futuri sull’argomento”, ha detto Baumann. “Una valutazione complessiva degli effetti combinati di bassi livelli di ossigeno e di acidificazione sulla vita marina sarà infatti fondamentale per capire come gli ecosistemi oceanici rispondono a queste condizioni sia oggi che nei futuri scenari di cambiamento climatico”.

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