Alla conferenza La Natura d’Italia, svoltasi a Roma la scorsa settimana, si è discusso di biodiversità, aree protette e green economy. Come le aree protette debbano essere considerate all’interno della nuova visione verde è oggetto di discussione. La Aree protette, costituite nel1991, sono anche oggetto in questi mesi di una riforma che ne modificherà la legge quadro, la legge 394. Ne abbiamo parlato con Andrea Gennai, presidente di AIDAP(Associazione Italiana dei Direttori e Funzionari dei Parchi) e Direttore del Parco Naturale di San Rossore.
Green economy e aree protette
Domanda: Perchè è stato necessario parlare di green economy nelle aree protette?
Andrea Gennai: Ormai era necessario perché il mondo ci riconoscesse come soggetto di interlocuzione: quindi strategicamente parlare di green economy è importantissimo. Inoltre è importante perché ci dà la possibilità di rilanciare un obiettivo per il futuro dei parchi sulla base di ciò che i parchi hanno fatto in questi anni, anche se magari non sono stati pienamente in grado di sistemizzarlo e promuoverlo.
Sarà utile anche per dare un ruolo alle aree protette nell’economia complessiva come laboratorio di buone pratiche che possono essere riproposte.
In questo senso mi è dispiaciuto ascoltare la dichiarazione del ministro dell’economia Saccomanni a proposito di questo, quando ha detto che non è esperto di green economy e che è questa è un comparto dell’economia. Invece le aree protette meritano di essere tutelate e incentivate proprio perché sono luoghi di innovazione nell’economia verde che può essere esportata.
E’ stato un piacere invece sentire Unioncamere che ci conosce e ci riconosce come interlocutori e si rivolge a noi con proprietà di linguaggio.
D: Come va intesa la green economy dentro le aree protette?
A.G.: Il rischio potrebbe essere che il mondo esterno, con un vecchio modo di intendere l’economia, entri nelle aree protette con i suoi metodi. Faccio un esempio: il rapporto con il mondo dell’agricoltura si è rivelato estremamente fruttuoso in alcuni casi nelle aree protette, come strumento di conservazione e anche di sviluppo sostenibile. Questo però non significa che ora le aree protette possono diventare il luogo dove l’agricoltura entra portandosi dietro i metodi di fuori.
Quando un’attività di valore economico diventa strumento di conservazione, rappresenta la green economy che va fatta nelle aree protette. Se invece si misura anche solo in termini di tollerabilità quella non può essere green economy nelle aree protette.
La riforma della legge sui parchi
D: Mentre sono molte le iniziative volte a sensibilizzare questa nuova opportunità della green economy, si muove parallelamente la riforma della legge sui parchi. Voi state portando avanti una discussione con Federparchi proprio sulla riforma. Come procedono i lavori e come si interfaccia la riforma con questa nuova sensibilità verso la green economy?
A.G.:Noi abbiamo sempre lamentato l’assenza di momenti di confronto fra chi opera nei parchi a livello dirigenziale e la parte politica. E questo si è dimostrato quando sono uscite delle proposte di modifica alla 394 che noi abbiamo avversato come AIDAP in maniera molto feroce, perché le proposte erano del tutto assurde e questo ha creato una spaccatura fra noi e Federparchi. Poi il Senato è andato avanti anche approvando l’urgenza e su questo abbiamo perso come tecnici alcune delle battaglie. Persi quegli obiettivi siamo comunque ritornati ad un tavolo di contrattazione che questa volta è stato aperto da Federparchi, e siamo riusciti a sederci attorno ad un tavolo per ore con calma e lì ci siamo capiti.
Perciò abbiamo visto che alcune formulazioni che così come erano state approvate in Commissione Ambiente del Senato erano assurde, con piccole modifiche cambiavano completamente e diventavano un compromesso accettabile, non la migliore soluzione. Questo però in una versione che al Senato non è ancora approdata perché se ne è discussa un’altra.
Non ci siamo invece trovati d’accordo sulla composizione dei Consigli direttivi. Secondo noi questi organi devono volare alto, devono delineare le politiche e non entrare in questioni tecniche, come le approvazioni dei progetti, ad esempio. Introdurre ulteriori rappresentative di settore secondo noi è devastante.
D: E sulla scelta dei direttori?
A.G.: Io non voglio fare la parte del sindacato, ma è ovvio che mettere i direttori alla briglia non solo dei presidenti ,ma proprio dei poteri locali è una cosa devastante, di una miopia accecante, è il modo migliore per distruggere i parchi. Dobbiamo sentirci parte di un sistema nazionale e la nomina da parte del Ministro garantiva questo, perché ovviamente il Ministro nominava il Direttore sentite le comunità locali, ed era un segno di un’indipendenza importante.
Per entrare nel merito del Collegato ambientale che di per sé è un’iniziativa lodevolissima, nell’ articolo 2 si decide sulla nomina dei direttori, giustificando il procedimento con il fatto che questa norma avrebbe risolto i problemi di efficienza amministrativa dei parchi e di potere di spesa, dando alla norma un valore che assolutamente non ha. E noi l’abbiamo letta come una provocazione assolutamente inutile. Questo non fa onore all’attività governativa che pur sino a questo momento stiamo apprezzando, perché il Ministro Orlando si sta dimostrando vicino al mondo dei Parchi. Però qui qualcuno gli ha suggeritori un passo falso.
Quanto sono efficienti i parchi?
D: E’ necessario valutare l’efficienza di un’area protetta e del suo personale?
A.G.: Quando sono nate le aree protette non sono stati definiti degli obiettivi misurabili. Sono stati definiti degli obiettivi generali. Quindi ognuno è andato per conto suo.
In alcuni casi ci sono stati grandi successi: parlo di alcuni animali simbolo e anche di alcune zone forestali di pregio. Ma tutto questo non è stato sistematizzabile perché nessuno ha raccolto i dati.
Ora è il momento di stabilire gli obiettivi e i monitoraggi sul lungo periodo per fare un progetto che si spalmi su un periodo di 30-100 anni.
Non conosco nessun presidente o direttore che sia stato in qualche modo penalizzato per non aver raggiunto i risultati, sia di conservazione che politici, o amministrativi. Non siamo mai stati misurati, ma siamo prontissimi alla sfida, il primo interesse è fare pulizia in casa propria.
D: E per quello che riguarda l’aggiornamento?
A.G.: Noi abbiamo chiesto l’istituzione di un’agenzia dei parchi sul modello statunitense e ci è stato sempre negato. Allora abbiamo chiesto un’agenzia formativa dei parchi, ma ci hanno detto che non era opportuno e siamo stati ricondotti alla scuola per la pubblica amministrazione che è una scuola generale.
D: Come valuta la conferenza e qual è il prossimo obiettivo di AIDAP?
A.G.: Siamo rimasti un po’ delusi perché ci aspettavamo che in questa conferenza venissero discussi anche gli argomenti critici delle aree protette, invece non ce n’è stata occasione.
Noi ora stiamo lavorando perché Federiparchi non sia solo il luogo della politica, ma anche dei tecnici dei parchi soprattutto se procede questo disegno di riconoscerla come organismo istituzionale. Il progetto sarebbe quello di creare un sistema in cui politica e tecnici dialoghino così come succede nei parchi fra direttori e presidenti, sempre nell’ottica di creare un sistema dei parchi, perché oggi quello dei parchi un sistema non è.