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Migliore sopravvivenza dopo la peste medievale

I sopravvissuti alla peste medievale conosciuta come la ‘Morte Nera’, che colpì l’Europa nel 1347 vissero significativamente più a lungo ed erano più sani

Scritto da Leonardo Debbia il 15.05.2014

Un nuovo studio mette in luce come i sopravvissuti alla peste medievale conosciuta come la ‘Morte Nera’, che colpì l’Europa nel 1347, provocando una vera e propria strage di persone, abbiano vissuto poi significativamente più a lungo e siano risultati più sani rispetto a chi era vissuto prima dell’epidemia.

Batteri Yersinia pestis al microscopio elettronico

Batteri Yersinia pestis al microscopio elettronico

Causata dal batterio Yersinia pestis, la Morte Nera spazzò via il 30 per cento degli europei e quasi la metà della popolazione di Londra solo durante la prima ondata (1347-1351).

Una epidemia simile si era già manifestata nel 6° secolo, mietendo migliaia di vittime e passando alla storia come ‘Peste di Giustiniano’, dal nome del famoso Imperatore romano. Non si sa esattamente se si sia trattato dello stesso tipo di peste, analogo a quella medievale.

Secondo uno studio recente, parrebbe che si possa attribuire ad un agente patogeno diverso, poi estintosi.

L’epidemia che investì l’Europa nel Medioevo è invece sicuramente attribuibile al batterio citato, proveniente dall’Asia e diffuso – si ritiene – soprattutto attraverso i ratti, trasportati dalle navi attraverso i frequenti scambi commerciali marittimi e favorito dalle precarie condizioni igieniche dell’epoca.

In effetti, si trattò di una vera pandemia, perché, come già detto, non interessò solo l’Europa, ma praticamente tutto il mondo antico.

Al giorno d’oggi il morbo è conosciuto come ‘peste bubbonica’.

L’antropologa Sharon Dewitte, della University of South Carolina, ha trascorso dieci anni esaminando resti scheletrici di più di mille individui tra uomini, donne e bambini vissuti prima, durante e dopo la grande epidemia e sepolti nei cimiteri di Londra.

Dall’analisi dei resti, rivolta soprattutto all’esame dettagliato dei denti, delle lesioni porose e di alcuni marcatori specifici, è stato possibile trarre alcune deduzioni:

a)     la Morte Nera non era un assassino indiscriminato, ma prendeva di mira le persone fragili di ogni età;

b)    i superstiti dell’epidemia sperimentarono miglioramenti dello stato di salute generale e vissero mediamente più a lungo, fino a 70-80 anni, rispetto a chi aveva vissuto in precedenza;

c)     i superstiti rivelavano una nuova robustezza, assente prima, per poter sopportare altri attacchi di peste;

Sharon Dewitte si mostra sorpresa da questi cambiamenti, che in realtà sono stupefacenti, e non lo nasconde su Plos ONE, la rivista che ha pubblicato i risultati della sua ricerca, mettendo in evidenza il potere che le malattie infettive possono avere nel plasmare la demografia e la salute di ampie fasce di popolazione, sia a breve che a lungo termine.

Naturalmente la ricerca non finisce qui.

“Sapendo quanto queste infezioni possono plasmare la biologia umana, si potranno avere più strumenti per capire la malattia e come ci potrebbe influenzare”, afferma la studiosa.

Oltre all’articolo su PLos ONE, Dewitte ha pubblicato anche un articolo sull’American Journal of Physical Anthropology.

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