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I fossili rivelano le capacità uditive dei primi esseri umani

Scritto da Leonardo Debbia il 04.10.2015

Lo studio di fossili umani risalenti a circa due milioni di anni fa rivela che il loro modello uditivo somiglia a quello degli scimpanzé, ma con alcune differenze in direzione degli esseri umani.

Rolf Quam, docente di Antropologia alla Binghamton University, ha guidato un team di ricerca internazionale che riuniva studiosi dell’Universidad Complutense di Madrid, dell’Università di Alcalà e della State University di New York, per ricostruire l’aspetto della percezione sensoriale in diversi esemplari di ominidi fossili rinvenuti nei siti di Sterkfontein e Swartkrans, in Sud Africa.

Lo studio si è basato sull’uso della tomografia assiale computerizzata (TAC) e su ricostruzioni virtuali al computer per esaminare dettagliatamente l’anatomia interna dell’orecchio.

I risultati suggeriscono che le specie dei primi ominidi Australopithecus africanus e Paranthropus robustus, entrambi vissuti circa 2 milioni di anni fa, avevano una capacità uditiva simile a quella degli scimpanzè, ma con alcune differenze che andavano nella direzione degli umani.

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La vista laterale del cranio SK 46 di Paranthropus robustus, rinvenuto nel sito di Swartkrans, Sud Africa, mostra la ricostruzione virtuale in 3D dell’orecchio e i risultati dell’udito nei primi ominidi. Crediti: Rolf Quam

 

 

Gli esseri umani si distinguono dalla maggior parte degli altri primati, tra cui lo scimpanzé, per avere una migliore sensibilità uditiva, che percepisce una gamma più ampia di frequenze, comprese generalmente tra 1,0 e 6,0 kHz.

All’interno di questa gamma di frequenze, che comprende molti dei suoni emessi nel linguaggio parlato, gli scimpanzé e la maggior parte degli altri primati perdono capacità uditiva rispetto agli esseri umani.

“Sappiamo che i modelli uditivi, o audiogrammi, sono differenti negli scimpanzé e negli esseri umani perché le relative capacità uditive sono state misurate in laboratorio su soggetti vivi”, afferma Quam. “Così, siamo ora interessati a scoprire quando e come il modello di udito umano sia comparso nel corso della nostra storia evolutiva”.

In precedenza, Quam e colleghi avevano studiato le capacità uditive in diversi esemplari di ominidi fossili del sito di Sima de los Huesos (Buca delle Ossa), nel Nord della Spagna, fossili di 430mila anni fa, considerati appartenenti a presunti antenati dei Neanderthal.
Le capacità uditive di questi ominidi erano risultate quasi identiche a quelle degli esseri umani moderni.

Al contrario, i campioni più rappresentativi del Sud Africa avevano avuto un modello uditivo molto più simile agli scimpanzé.

Nei fossili del Sud Africa, la regione di massima sensibilità dell’udito era spostata verso frequenze leggermente più alte rispetto agli scimpanzé e i primi ominidi hanno mostrato una più elevata sensibilità alle frequenze tra 1,5 e 3 kHz, per le quali la finezza d’udito era migliore sia rispetto agli scimpanzé che addirittura agli esseri umani.

Questo modello uditivo potrebbe essere stato particolarmente favorevole nella vita della savana, dato che negli ambienti aperti le onde sonore si smorzano prima di quanto accada nella foresta pluviale, per cui nella savana risulta favorita la comunicazione a corta distanza.

“Sappiamo che queste specie occupavano regolarmente la savana, dal momento che la loro dieta includeva fino al 50 per cento delle risorse che si trovano negli spazi aperti”, afferma Quam.

I ricercatori sostengono che questa combinazione di caratteristiche uditive potrebbe aver favorito la comunicazione a corto raggio in ambienti aperti.

Allora questi suoni avrebbero potuto essere una sorta di forma primitiva del linguaggio?

“No, non stiamo sostenendo che questi individui potevano sicuramente comunicare con la voce, risponde Quam. “Tutti i primati emettono questi suoni. Ma non si può parlare dello sviluppo di un linguaggio, che implica un contenuto simbolico”.

L’emergere del linguaggio è una delle questioni più dibattute in Paleoantropologia, il ramo dell’Antropologia che studia le origini dell’uomo, dal momento che l’origine del linguaggio è spesso indicativa della stessa definizione di caratteristica umana.

C’è comunque consenso tra gli antropologi nel ritenere che le piccole dimensioni del cervello, l’anatomia cranica e del tratto vocale di questi primi ominidi stanno ad indicare come fosse estremamente improbabile che avessero già acquisito la capacità del linguaggio.

In che modo questi risultati si rapportano con la scoperta di una nuova specie di ominide, l’Homo naledi, annunciato appena due settimane fa in un sito del Sud Africa?

“Sarebbe veramente interessante studiare il modello uditivo di questa nuova specie”, dice Quam. “Ma lo faremo”, assicura.

 

 

 

Leonardo Debbia

 

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