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Acqua bene prezioso: agricoltura e problema idrico

Come convincere i produttori ad adottare tecnologie e pratiche di conservazione dell’acqua quando non è nel loro interesse economico farlo? Perché, semplicemente, non è possibile che gli agricoltori irrighino meno?

Scritto da Nadia Fusar Poli il 20.02.2013

Potreste aver trangugiato una bottiglia da mezzo litro di acqua all’ora di pranzo, ma il cibo che avete mangiato e i vestiti che indossate “bevono” molto di più. 

L’agricoltura è uno dei maggiori consumatori d’acqua, tra i più insaziabili del mondo. Eppure il settore è di fronte alla crescente concorrenza delle città, dell’industria, e del settore leisure in un momento in cui la domanda di cibo è in aumento e l’acqua è destinata a diventare sempre più scarsa. Il  mondo è sempre più assetato mentre le riserve di acqua dolce destinate alla produzione alimentare sono stabili, o limitate. E’ possibile tenere il passo e colmare un gap sempre crescente?

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Questa è la domanda centrale, il tema chiave del simposio ” “Green Dreams, Blue Waves, and Shades of Gray: The Reality of Water,”, che si è tenuto domenica 17 febbraio a Boston, presso l’Associazione americana per l’avanzamento della scienza (AAAS).

Alla luce di quanto emerso, sembra che le risposte al problema idrico vadano ricercate in tre aree di intervento: nella protezione delle nostre limitate riserve di acqua dolce nei laghi, nei corsi d’acqua e nella terra (acqua blu); nell’ottimizzazione dell’uso dell’acqua nella produzione delle colture (acqua verde); nel riutilizzo dell’acqua di “scarto” (acqua grigia), che già serve nel processo di trasformazione dei prodotti alimentari o di produzione di energia.

Ma tali indirizzi e processi, sollevano anche una serie di altre domande,  Fred Vocasek, che ha co-organizzato la sessione con John Sadler dell’ USDA-Agricultural Research Service si è chiesto: “Come convincere i produttori ad adottare tecnologie e pratiche di conservazione dell’acqua quando non è nel loro interesse economico farlo? Perché, semplicemente, non è possibile che gli agricoltori irrighino meno?”

Quest’ultima domanda è particolarmente complessa a causa del problema dell’ acqua “virtuale” – acqua nascosta nel cibo –  che sembra destinata a crescere. Se gli Stati Uniti, per esempio, decidessero  di conservare l’acqua nella falda acquifera di Ogallala, coltivando meno mais e importando grano dalla Cina, si consumerebbe comunque l’acqua “virtuale” utilizzata per far crescer il grano cinese. E siccome gli agricoltori cinesi usano acqua in modo decisamente meno efficiente rispetto ai produttori degli Stati Uniti, il rischio è quello di sprecare enormi quantità d’acqua su scala globale.

E’ necessario porre maggiore attenzione su questo complicato problema e sulla sua enorme portata. Se esistono evidenti limitazioni di carattere economico, vi sono anche vincoli di natura giuridica, connessi soprattutto al diritto di proprietà.

Se limitare l’uso dell’acqua in determinate situazioni o regioni può essere un approccio utile, è altrettanto vero che le agenzie governative americane spesso non possono chiedere ai proprietari di ridurre i consumi, in quanto il diritto di deviare l’acqua per scopi specifici, è regolamentato dal diritto di proprietà. Il riutilizzo delle acque grigie per irrigare le colture, allo stesso modo, risulterebbe difficile, perché le acque reflue portano spesso con sé sali o altri contaminanti potenzialmente dannosi  nel lungo periodo.

Se a ciò si aggiunge un altro elemento, ovvero la grande dimensione delle aziende agricole odierne, si può ben comprendere come gli agricoltori non siano incentivati ad adottare pratiche come le colture di copertura e la rotazione pluriennale delle colture, che aiuterebbero a immagazzinare l’acqua nel terreno, ma richiedono più tempo e lavoro. Se progetti, idee e buoni propositi non mancano, la loro praticabilità e piena fattibilità appare spesso un traguardo difficile da raggiungere

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