Quasi 40 anni di dati satellitari riguardanti la Groenlandia indicano che i ghiacciai dell’isola si sono talmente ridotti che, anche se da oggi il riscaldamento globale cessasse, la calotta glaciale, lungi da riprendere vita, continuerebbe a sciogliersi.
La scoperta, pubblicata il 13 agosto scorso sulla rivista Nature Communications Earth and Environment, sottolinea che i ghiacciai della Groenlandia hanno ormai superato il punto di svolta, per cui nuova neve e nuovo ghiaccio – contributi essenziali per la permanenza della copertura glaciale – non riuscirebbero a tenere il passo del ghiaccio che scongela, fluendo nell’oceano.
“Abbiamo esaminato accuratamente le osservazioni ottenute con il telerilevamento per studiare le variazioni dell’accumulo di ghiaccio a terra e delle perdite in mare”, dichiara Michaela King, autrice principale dello studio relativo e ricercatrice presso il Byrd Polar and Climate Research Center della Ohio State University. “Quello che abbiamo scoperto è che il ghiaccio che si scioglie nell’oceano sta superando di gran lunga la quantità di neve che va accumulandosi sulla superficie della calotta glaciale”.
King e colleghi hanno analizzato i dati satellitari mensili di oltre 200 grandi ghiacciai che confluivano nell’oceano intorno alla Groenlandia. Le loro osservazioni mostrano la quantità di ghiaccio che finisce in mare e le quantità di nevicate che si depositano ogni anno sull’isola e che dovrebbero sostituire il ghiaccio andato disciolto.
I ricercatori hanno scoperto che negli anni ’80 e ’90 il bilancio era praticamente in equilibrio: il rifornimento di neve era pari alla quantità di ghiaccio perduta, per cui la calotta glaciale restava stabile.
Nei decenni successivi la calotta glaciale ha perso, mediamente, circa 450 miliardi di tonnellate di ghiaccio all’ anno, senza che questa perdita fosse adeguatamente compensata.
Dall’inizio del 2000, i ghiacciai hanno cominciato a perdere 500 miliardi di tonnellate di ghiaccio all’anno, fino alla brusca accelerazione di questi ultimi anni, mentre frattanto le nevicate non sono aumentate.
“L’aumento della fusione del ghiaccio ha subìto un’ accelerazione notevole negli ultimi 5-6 anni”, sostengono gli studiosi.
La perdita di ghiaccio, quindi, si è sempre più accentuata.
Secondo la King, dal 1985 i grandi ghiacciai della Groenlandia si sono ritirati mediamente di circa 3 chilometri. “Una lunghezza di non poco conto”, sostiene la ricercatrice.
L’acqua calda di mare poi, con la sua azione, rende comunque difficile ai ghiacciai il ritorno a posizioni precedenti.
E questo significa che, anche qualora si arrestasse in modo miracoloso il riscaldamento climatico, il ghiaccio andato perduto supererebbe il ghiaccio guadagnato con l’accumulo di neve.
La calotta glaciale è così destinata ad una fusione definitiva e irreversibile.
Questa riduzione del ghiaccio groenlandese non è un problema solo per la Groenlandia e il Nord-Atlantico, ma riguarda l’intero pianeta.
Il livello dei mari terrestri è, difatti, in stretta correlazione con questo ghiaccio.
Lo scorso anno il ghiaccio disciolto ha contribuito a far salire gli oceani di 2,2 millimetri in soli due mesi.
E’ pur vero che si tratta di piccoli valori, che però, sommati nel tempo, offrono uno scenario davvero inquietante!
A rendere il quadro ancora più fosco si aggiungono le previsioni di un team di glaciologi del Met Office nel Regno Unito, pubblicate nei giorni scorsi dalla rivista Nature Climate Change.
In un loro nuovo studio, i ricercatori affermano che l’Artico potrebbe essere totalmente privo di ghiaccio entro il 2035.
Utilizzando un modello del Centro Hadley per la previsione e la ricerca climatica, una sorta di rappresentazione fisica avanzata del clima terrestre, che confronta le condizioni del ghiaccio marino artico durante l’ultimo interglaciale di 127mila anni fa con il ghiaccio attuale, gli studiosi hanno concluso che l’impatto dell’intenso sole primaverile ha favorito la formazione di molti stagni di fusione, ovvero pozze d’acqua sulla superficie dei ghiacciai che ne favoriscono lo scioglimento.
“Il comportamento del ghiaccio marino è fondamentale e deve essere ben valutato”, sostengono il dr David Schroder e il prof. Danny Feltham, dell’Università di Reading, che hanno sviluppato e co-guidato l’attuazione del ‘sistema di stagno di fusione’ nel modello climatico,
E la dott.ssa Louise Sime, capo del gruppo del Paleoclima presso il British Antarctic Survey, di fronte alla prospettiva di un Artico senza ghiaccio, ribadisce quanto sia importante “concentrare tutte le nostre risorse sul raggiungimento di un mondo ‘a basse emissioni di carbonio’ non appena sia umanamente possibile”.