Negli ultimi 50 anni, il 60 per cento di tutti i servizi ecosistemici sono diminuiti come conseguenza diretta della conversione dei terreni alla produzione di alimenti, carburanti e fibre.
Questo non dovrebbe sorprenderci, secondo sette eminenti scienziati che si occupano di ambiente, che si sono incontrati per studiare insieme le insidie dei mercati per indurre le persone a tener conto dei costi ambientali e delle possibili soluzioni.
“Le cose migliori della vita sono gratis, inclusa la natura”, dice l’autore Stephen Polasky, professore di economia applicata ed ecologia, evoluzione e comportamento. “Ma se non attribuiamo un costo ai servizi della natura non conserveremo l’ambiente in modo da preservare il valore di questi servizi.”
Lo studio è stato pubblicato il 4 novembre scorso sulla rivista Science.
La società paga per i prodotti dell’agricoltura, dell’acquacoltura e forestale, e ha sviluppato un buon funzionamento dei mercati per questi prodotti.
Tuttavia, David Tilman, professore nella Facoltà di Scienze Biologiche, fa notare che “abbiamo anche bisogno di meccanismi di mercato che tengano in considerazione i servizi di cui gli agricoltori necessitano, ad esempio la tutela dei bacini idrici, degli habitat, la regolamentazione contro malattie e insetti nocivi, i cambiamenti climatici e i danni da catastrofi naturali”.
Il problema è che i servizi ecosistemici sono beni pubblici. Alcuni si trovano al di fuori del controllo di qualsiasi governo, e la scienza ha studiato ancora poco questo campo. Non tutti i servizi ecosistemici sono stimabili in denaro. E i cattivi meccanismi di pagamento possono essere più nocivi di nessun meccanismo di pagamento, avvertono gli autori dello studio, facendo riferimento alle lezioni apprese in quattro decenni di sussidi agricoli. I sussidi infatti hanno incoraggiato l’uso eccessivo di fertilizzanti e pesticidi, due dei fattori principali per il crescente numero di zone senza vita negli oceani del mondo.
Una lezione simile si trova nella prima generazione di sistemi di cap-and-trade, dicono. Il Cap and trade è un metodo per la regolazione e la riduzione della quantità di sostanze inquinanti emesse in atmosfera. E’ stata pensata come una soluzione più democratica per regolare l’inquinamento che una carbon tax in quanto la produzione di carbonio diventa una merce che può essere negoziata sul mercato libero. I primi mercati degli Stati Uniti per i diritti di emissione di anidride solforosa sono crollati a causa di errori di progettazione: si è omesso di prendere in considerazione le interazioni tra gli inquinanti attraverso i confini statali.
I mercati che stabiliscono il pagamento per i servizi ecosistemici possono fornire incentivi per l’approvvigionamento sostenibile di questi servizi. Esempi di approcci di successo ai mercati ambientali comprendono politiche cap-and-trade volte a limitare l’inquinamento e la certificazione della produzione sostenibile. Ma i mercati ambientali devono essere progettati con cura. Facendo degli errori si potrebbe far peggio che non facendo affatto.
Lo studio degli scienziati giunge tempestivamente, dato il crescente entusiasmo per l’uso dei pagamenti per i servizi ecosistemici (PES) che consentono ai governi e alle organizzazioni non governative di pagare per beni pubblici ambientali. Per esempio, il sequestro del carbonio è stato pagato tramite il programma di collaborazione delle Nazioni Unite ‘sulla riduzione delle emissioni da deforestazione e da degrado forestale nei paesi in via di sviluppo’. In questo modo si pagano i paesi affinchè non taglino le loro foreste, cosa che contiene la perdita di biodiversità, oltre a contenere le emissioni di carbonio.