Secondo un recente studio di Yale, la conversione delle foreste in terreni agricoli a livello mondiale ha innescato un cambiamento atmosferico che, anche se alquanto raramente considerato nei modelli climatici, ha sicuramente avuto un effetto di netto raffreddamento delle temperature globali.
Scrivendo sulla rivista Nature Climate Change, Nadine Unger, docente di chimica dell’atmosfera presso la Yale School of Forestry & Environmental Studies (F & ES) del Connecticut, riferisce che la riduzione delle foreste su larga scala nel corso degli ultimi 150 anni hanno ridotto le emissioni globali di composti biogenici organici volatili (BVOCs), che agiscono sulla distribuzione nell’atmosfera di molti inquinanti climatici di breve durata, quali l’ozono troposferico, il metano e le particelle di aerosol.
Utilizzando sofisticati modelli climatici, la Unger ha calcolato che un calo del 30 per cento delle emissioni di BVOC tra il 1850 e il 2000, per la maggior parte attraverso la conversione delle foreste in terre coltivate, ha prodotto un raffreddamento netto globale di 0,1 grado, soprattutto a causa di un aumento delle emissioni di anidride carbonica dei combustibili fossili.
La deforestazione, in realtà, ha due effetti contrastanti, che agiscono cioè con risultati opposti sulla temperatura media globale: la perduta capacità di immagazzinare carbonio fa aumentare il riscaldamento globale. L’effetto albedo, la quantità di radiazione riflessa dalla Terra, prodotto dall’aumento dei campi e delle coltivazioni di colore più chiaro al posto delle chiazze scure forestali, produce un raffreddamento che va a compensare l’aumento di temperatura.
Unger afferma che, con la riduzione delle foreste, gli effetti combinati delle emissioni di BVOC e dell’effetto albedo è superiore al riscaldamento causato dalla perdita della capacità di immagazzinare il carbonio.
La studiosa sottolinea che i risultati, tuttavia, non danno la riduzione delle foreste come un’arma vincente per ottenere sicuri benefici nella battaglia del cambiamento climatico, ma sono un’importante indicazione per valutare quali parti del mondo trarrebbero benefici da una maggiore conservazione delle foreste.
Dalla metà 19° secolo (inizio dell’era industriale) la percentuale dei terreni agricoli (ricordiamo, di colore più chiaro) è passata dal 14 al 37 per cento, mentre le foreste – maggiori contributrici di emissioni di BVOC – sono diminuite del 30 per cento.
Ma questi composti influenzano la chimica dell’atmosfera in maniera molto diversa, uno dall’altro.
Gli aerosol, ad esempio, contribuiscono a raffreddare l’atmosfera, riflettendo la radiazione solare nello spazio. Una loro riduzione del 50 per cento produce un effetto di riscaldamento, rispetto all’era pre-industriale.
I gas serra, metano e ozono, invece, contribuiscono a riscaldare la Terra. Una loro riduzione fornisce un effetto di netto raffreddamento.
Questi impatti sono spesso ignorati nei modelli climatici, perché sono percepiti come parte ‘naturale’ del sistema Terra, spiega la Unger. “Così, non ottengono la stessa attenzione delle emissioni umane, come i combustibili fossili, per esempio”, dichiara. “Ma se si prende in considerazione la quantità della copertura forestale esistente, dato che siamo noi a tagliare le piante, allora si può parlare di un’influenza umana su queste emissioni”.
L’omissione di questi impatti nelle modellazioni climatiche, dice la Unger, finora avvevivano anche perché gli scienziati credevano che le emissioni di BVOC fossero cambiate di poco rispetto all’éra pre-industriale. Ma uno studio pubblicato lo scorso anno dalla stessa Unger ha mostrato che questi composti volatili sono effettivamente diminuiti.
E alla stessa conclusione sono giunti anche altri scienziati europei.
L’impatto dei cambiamenti di ozono e aerosol organici sono particolarmente forti nelle zone temperate, mentre l’impatto dovuto al metano è distribuito un po’dappertutto a livello globale.
Secondo la Unger, la sensibilità del sistema climatico alle emissioni di BVOC sottolinea l’importanza che potrebbe rivestire un monitoraggio a lungo termine di queste emissioni su scala globale.