Si è concluso venerdì scorso a Caramanico Terme (PE) l’International Wolf Congress, convegno di chiusura del progetto europeo LIFE Wolfnet, che ha visto confrontarsi esperti e scienziati provenienti da oltre dieci paesi sulla gestione del lupo.
Il lupo, grande predatore, perseguitato nei secoli scorsi fino ad essere quasi estinto nel nostro paese, torna ad abitare i luoghi che un tempo gli erano propri, ma affrontando molte minacce. Fra queste, in prima linea, quella del bracconaggio. Secondo gli esperti che si sono confrontati al congresso risultato purtroppo comune la pratica di confezionare esche utilizzando organi interni di animali da allevamento come conigli, cui vengono mescolate sostanze tossiche provenienti dall’agricoltura quali metaldeide o endosulfan-α.
Rosario Fico, del Centro Referenza Nazionale per la Medicina Forense Veterinaria di Grosseto, ha spiegato come il primo step da seguire sia in questi casi l’identificazione, a breve raggio, degli allevamenti che trattano gli animali utilizzati come esca e di fondamentale importanza risulti in seguito l’esame del DNA, grazie al quale è effettivamente possibile accertare il reato: lo dimostrano i 3 casi di bracconaggio risolti negli ultimi dieci anni in Italia.
Il dott. Atturo del Servizio di Polizia Provinciale di Genova ha sottolineato come esistano sempre degli spunti investigativi, e quanto portarli avanti sia essenziale e produttivo. Valga come esempio il caso, citato da Atturo, del lupo ucciso e ritrovato senza muso nel 2008. Il sospettato indossava una collana composta da 10 denti di canide, e proprio l’esame del DNA, confrontato con quello di un campione di tessuto muscolare prelevato dal cadavere, permise di accertare la colpevolezza dell’uomo, in seguito condannato.
Vasto spazio è stato poi dedicato alla gestione del lupo nell’ottica di una, per quanto possibile, pacifica convivenza con l’uomo. Traguardo non sempre facile da raggiungere, come dimostra l’esperienza reatina, illustrata dal prof. Andrea Amici dell’Università della Tuscia. In seguito al ritrovamento di una lupa ferita nell’area del Terminillo e successivamente curata in un centro di riabilitazione, il gruppo di ricercatori guidato dal prof. Amici ha avviato, contestualmente al rilascio dell’animale, un progetto di monitoraggio basato su tecnologia GPS. Notevole è stata la risonanza dell’evento, tanto da suggerire l’avvio di un sondaggio, condotto da intervistatori qualificati in 5 comuni della provincia di Rieti tramite questionario a risposta multipla, per verificare l’opinione della comunità.
Il 64% degli intervistati ha affermato di non vedere di buon occhio il rilascio di un lupo, e le preoccupazioni maggiori sembrerebbero riguardare gli animali domestici. I risultati hanno oltremodo evidenziato una scarsa conoscenza rispetto a finalità ed organismi cui competono i rilasci. Necessaria sembrerebbe quindi in alcuni casi un’attività di educazione ed informazione, per coinvolgere la comunità locale in quella che, va ricordato, è attività di conservazione di una specie protetta, e come tale ha bisogno dell’accettazione e della benevolenza soprattutto di coloro che il territorio lo vivono.
Dell’interazione tra lupo ed animali domestici si è parlato a lungo, soprattutto in relazione alla positiva esperienza del Parco Nazionale della Majella (PNM). I numeri relativi ai danni arrecati al bestiame, tra i più bassi mai registrati, rendono quello della Majella un interessante case study. Secondo quanto riportato da Simone Angelucci, veterinario del PNM, l’indennizzo economico annuo corrisposto dal parco agli allevatori si aggirerebbe attualmente sui 20-25mila euro: indice, questo, di come ottimi risultati siano stati raggiunti nella gestione del “conflitto” uomo-lupo grazie allo sviluppo di interessanti ed innovative misure di prevenzione e mitigazione del danno, messe in pratica anche alla luce di risultati estremamente significativi emersi da recenti studi, secondo i quali gli animali domestici rappresenterebbero solo il 5% degli animali predati dal carnivoro, che, stando sempre ai dati, preferirebbe di gran lunga il cinghiale.
Il dott. Angelucci ha poi evidenziato come casi di predazione multipla, nei confronti soprattutto di ovini, si verifichino spesso in pascoli cespugliati e in condizioni meteo di nebbia o pioggia, sottolineando quindi come i danni al bestiame possano essere minimizzati grazie ad un maggiore controllo del gregge (spesso lasciato in condizioni di semi-abbandono) con l’ausilio di cani, e tramite un corretto utilizzo di recinzioni elettrificate, spesso presenti, ma non funzionanti.
Al sistema di indennizzo economico, di cui comunque si è lamentata la lentezza e la difficoltà burocratica, è stata poi nel parco della Majella affiancata una pratica di restituzione del capo predato, secondo cui è possibile per gli allevatori ricevere, al posto del corrispettivo monetario, capi selezionati provenienti da due greggi di cui si è dotato il parco.
A questo punto, esiste davvero un problema lupo? Secondo quanto emerso al convegno, no.
Annette Mertens, Life project Manager, ha sottolineato come per molti allevatori ed abitanti la questione sia soprattutto emozionale: le difficoltà ci sono, a partire dalla mancanza di acqua e ripari fino ai problemi relativi alla stima dei danni, basata spesso su prezzi all’ingrosso. A prevalere è tuttavia spesso un senso di abbandono, di rabbia, una mancanza di fiducia nelle autorità: in queste condizioni chiamare in causa il lupo è spesso l’unico modo di essere ascoltati.