Durante La conferenza “La Natura dell’Italia. Biodiversità e Aree protette: la green economy per il rilancio del Paese”, prima Conferenza nazionale sulla Biodiversità, svoltasi l’11 e il 12 dicembre presso l’Aula Magna dell’Università La Sapienza di Roma e voluta dal Ministro dell’Ambiente Andrea Orlando, abbiamo intervistato il professor Ferdinando Boero, professore ordinario di Zoologia presso l’Università del Salento e associato a CNR-ISMAR. Boero ci ha spiegato quanto ancora la politica stenti a recepire l’urgenza del problema ambientale, con esiti sempre più pericolosi per la nostra sopravvivenza sul pianeta. Il professore ci ha parlato anche del rapporto fra natura ed economia, della necessità che la politica nel nostro Paese sia prima di tutto onesta e basata su competenze eccellenti. Della difficoltà nel dialogo fra scienziati e decisori politici, della volontà di rimanere alla ricerca di una filosofia che possa raccogliere sotto un’unica visione i diversi saperi scientifici.
Domanda: Professore, in questa conferenza si parla di coniugare conservazione e sviluppo. Secondo lei è possibile?
Ferdinando Boero: Quando abbiamo pensato allo sviluppo abbiamo pensato all’incremento del capitale economico: è una legge di natura che se qualcosa cresce qualche altra cosa decresce. Ogni crescita del capitale economico comporta una diminuzione del capitale naturale. Abbiamo impostato l’economia esternalizzando dal bilancio il consumo del capitale naturale. Fino ad oggi sono stati mostrati i guadagni del capitale economico e sono state nascoste le perdite del capitale naturale. Scopriamo che per mettere a posto Taranto ci vogliono più soldi di quelli che abbiamo guadagnato per realizzare lo stabilimento dell’ILVA. Ho scritto un libro che si intitola: “Economia senza Natura”. Il sottotitolo è “La grande truffa”. La truffa è quella di chi ti sta facendo vedere i guadagni e non ti fa vedere i costi: non è buona economia. Abbiamo devastato il pianeta e abbiamo contratto un mutuo con la natura che non siamo in grado di rifondere, perché i soldi che abbiamo guadagnato con l’economia non bastano a riparare i danni che abbiamo fatto alla natura. L’economia non può essere estratta dalla natura. Se distruggiamo la natura stiamo facendo cattiva economia.
D: Qual è il ruolo della scienza in questo?
F. B.:Intanto dobbiamo imparare a conoscere bene le leggi naturali. Ho scritto Economia senza Natura a seguito di una conversazione con un economista che, dopo avermi sentito fare questi ragionamenti, mi ha detto” ma tutto questo è contro le leggi dell’economia”. E io gli ho risposto: ” ma se le leggi dell’economia vanno contro quelle della natura, quali pensi che prevarranno?”. Prevalgono quelle della natura, lo capisce persino un economista. Quindi, prima di tutto, bisogna conoscere queste leggi e, purtroppo, gli economisti e gli ingegneri non le conoscono. Hanno inventato un mondo filosofico astratto dalla natura, e questo non è possibile. La scienza deve colmare questa grande ignoranza.
D: E’ giusto parlare di green economy in termini di crescita?
F.B.: E’ giusto! Ma bisogna fare delle premesse. Questo è il paese in cui ogni occasione, dalle grandi opere alle privatizzazioni, diventa un’opportunità per il ladrocinio. Ho contribuito alla proposta di inserire, visto che non c’è, la Natura nella nostra Costituzione. Ci sono il paesaggio e il patrimonio culturale, ma non c’è la Natura.
C’è un’altra parola che manca nella nostra Costituzione: onestà. Non c’è. I piani possono essere magnifici, ma se poi dietro non c’è qualcuno in grado di farli con onestà e competenza vanno come sono andati i nostri.
La grande opera oggi è rimettere in armonia con la natura quello che abbiamo combinato. Abbiamo fatto disastri dovunque. Dobbiamo mettere a posto il nostro territorio e lo dobbiamo rendere compatibile con la nostra presenza, e dobbiamo trovare tecnologie che non si basino sulla combustione per avere energie. Le ripeto: noi oggi siamo al tracollo perché siamo incompetenti e disonesti.
D: Quale deve essere secondo lei il ruolo delle aree protette?
F.B.: Le aree protette hanno il ruolo importantissimo di colmare il divario culturale che noi Italiani abbiamo nei confronti della Natura: per noi non c’è. L’area protetta dovrebbe diventare un emblema di ciò che dovremmo fare a tutto il nostro territorio, non soltanto nelle aree protette.
Il senso non deve essere che, visto che ci sono le aree protette, allora al fuori di esse possiamo fare i nostri comodi. E non può essere neanche inteso che nelle aree protette si devono realizzare innumerevoli attività economiche. Se tutti vogliono la casa nel bosco, il bosco presto non ci sarà più.
A terra abbiamo già distrutto tutto, non esiste alcuna risorsa che provenga da fonti selvatiche: è tutto allevato e coltivato, tutto. Più cresce la popolazione umana, più abbiamo bisogno di spazio per l’agricoltura e quindi abbattiamo le foreste. In mare prendiamo ancora da popolazioni naturali, ma stiamo passando rapidamente all’acquacoltura: alleviamo carnivori a cui diamo da mangiare pesci selvatici più piccoli. Stiamo raschiando il fondo del barile, ma alla natura questo non importa. Non riusciremo a distruggerla, ma stiamo ponendo le premesse per la nostra distruzione. Non siamo più forti della Natura!
Le aree protette devono fare arrivare questa cultura alle persone. Poi possono essere anche un volano economico perché forniscono un marchio di garanzia e qualità superiore. Ma c’è un pericolo: perché tutti vorranno avere la casa nell’area protetta, e torniamo alla casa nel bosco. Però tutti hanno diritto ad andare in vacanza in un bel posto. Il problema è che siamo tanti e i limiti all’uso della Natura non possono certo essere subìti solo dai poveri che non possono permettersi gli stessi privilegi dei ricchi.
Per questo è necessaria un’economia ecocompatibile ovunque. Non ha senso parlare di green economy come un semplice comparto di un’altra economia che green non è.
D: Esiste una difficoltà a comunicare fra gli scienziati e gli amministratori? Fra i tecnici e i politici?
F.B: Sì, l’abbiamo visto anche in occasione di questa conferenza. Anche qui abbiamo potuto apprezzare che non esiste una visione globale della questione. I politici sono esposti a richieste puntiformi di singoli ricercatori che chiedono la soluzione del problema che interessa tantissimo a loro, e a volte dicono che quelli degli altri interessano meno. L’Italia non ha un Museo Nazionale di Storia Naturale, ma potrebbe essere anche una cosa anacronistica realizzarne uno adesso. Perchè non investire in un Istituto Nazionale della Biodiversità per lo studio della biodiversità, così come c’è ne sono per la fisica?
La comunità scientifica deve uscire dal ghetto delle proprie specificità e deve proporre grandi visioni generali. Poi è anche vero che gli amministratori dovrebbero cominciare a rivolgersi all’eccellenza per la ricerca e non al primo che passa o all’amico. C’è stata la valutazione della ricerca, non dovrebbe essere difficile identificare le competenze.
La Convenzione sulla biodiversità di Rio, nel ’92, ha riconosciuto che l’erosione della biodiversità è il problema numero uno per il nostro benessere sul nostro pianeta. Sarebbe logica conseguenza che questo riconoscimento avesse delle conseguenze, e che la ricerca su questi argomenti fosse una priorità. Invece è lasciata sempre per ultima, con i finanziamenti al lumicino.
Se la comunità scientifica non è in grado di rispondere a queste necessità bisogna fare in modo che migliori. Dobbiamo costruire una comunità scientifica di alto livello, perché è ora che stiamo distruggendo il patrimonio naturale, questa è un’emergenza ora: la prima priorità. Cosa mangeremo? Che aria respireremo? Che acqua berremo? Invece finanziamo ricerche che risolvono problemi che potrebbero essere tranquillamente affrontati anche tra cento anni. Intendiamoci, la tecnologia è un’alleata potentissima, ma dovrebbe essere indirizzata a risolvere questi problemi: per il momento non lo è.
D: Crede che sia anche una questione di informazione?
F.B.: Guardi, in Italia si fa tantissima divulgazione sulla natura, ma è tutta aneddotica e caricaturale, sul modello disneyano. Il risultato è che il pubblico non ha neanche le nozioni di base. Le trasmissioni naturalistiche raccontano storie di leoni e delfini, ma non affrontano i grandi problemi della natura. E ai bambini a scuola il mondo della natura viene negato: fuori dalle scuole c’è un mondo che i bambini e i ragazzi vorrebbero studiare e sarebbe importantissimo che venissero portati prima a studiare ciò che sta loro intorno, la natura. L’istruzione così come è concepita oggi è di una noia mortale.
Frank Zappa parla della Grande Nota e di continuità concettuale. Noi con il riduzionismo abbiamo spezzettato la continuità concettuale, abbiamo compartimentalizzato il sapere e non riusciamo più a “sentire” la Grande Nota. E’ come con la musica: ascoltare i singoli strumenti separati gli uni dagli altri non è come ascoltare il suono dell’intera orchestra. La scienza oggi si comporta così: ognuno fa la sua parte, ma nessuno sa cosa sta facendo l’altro e suona da solo. Arriviamo a Gaia, come l’ha spiegata Lovelock, anche quella teoria è troppo semplificata, però quella è la direzione. Dobbiamo cercare di mettere assieme tutto. I primi filosofi facevano questo, poi siamo andati sempre di più nella compartimentalizzazione e forse ora è venuto il momento di tornare a riunificare tutto. Non è facile, ma la sfida è questa, ritrovare la continuità concettuale. Ci manca una filosofia…. ci sto lavorando.
ottimo ma si manifesteranno 2 cervi che si affronteranno per la economia chissà chi vincerà. puristi, economisti, impresari. politici, uguale vomito