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L’ambiente è condizione per l’economia. Intervista a Davide Marino

"Le aree interne soffrono di problemi legati all’abbandono e al degrado. Devono essere convertite in modello di sviluppo economico sostenibile"

Scritto da Linda Reali il 08.03.2013

La crisi economica e i cambiamenti climatici sono le grandi sfide che l’Italia e il resto del mondo devono affrontare. Occorrono nuove politiche di gestione, che considerino l’ambiente come elemento fondamentale per l’economia, oltre che per il benessere.

Come affrontare nel nostro territorio la gestione dell’ambiente con una nuova ottica più consapevole e sostenibile?

Valutazione_efficacia_aree_protette_copertinaLo abbiamo chiesto a Davide Marino, economista ambientale e professore presso l’Università degli Studi del Molise, autore del libro “La valutazione di efficacia per le aree protette”.

DomandaIn quanto responsabile scientifico del Progetto banca dati Aree Protette Italiane, ci può spiegare in cosa consiste questa iniziativa?

Davide Marino: Il Progetto banca dati Aree Protette Italiane nasce da un altro progetto volto alla valutazione di efficacia, una metodologia impiegata per verificare quanto la politica pubblica sia efficace nel raggiungimento di determinati obiettivi. La valutazione si focalizza su determinati set di indicatori,  raccolti nella Banca Dati. Questa è dunque non solo una fonte di analisi operativa, ma anche uno strumento a disposizione di chiunque voglia studiare le aree protette.

D.: Quale è stata la risposta dei gestori delle aree protette a questo progetto? In che modo possono contribuire alla sua realizzazione? 

D.M.: Il progetto di raccolta dati è partito circa quattro anni fa, autofinanziato e tuttora in corso. La prima raccolta dati è stata condotta direttamente da noi (CURSA in collaborazione con l’Università del Molise n.d.R.) sui Parchi Nazionali del Gran Paradiso, del Circeo, del Cilento Vallo di Diano e degli Alburni,  attraverso interviste, revisione di materiale cartaceo e analisi sul campo. Da questo studio è nato un manuale recentemente pubblicato da Franco Angeli, “La Valutazione di Efficacia per le Aree Protette – Proposta di un modello di Analisi (MEVAP) e manuale di applicazione”. L’obiettivo è estendere la metodologia MEVAP (Monitoring and Evaluation of Protected Areas) a tutte le aree protette del territorio nazionale, per cui ci auspichiamo l’adesione del Ministero dell’Ambiente e a Federparchi.

D.: Valutare l’efficienza di un Parco come se fosse un’azienda: è un nuovo approccio per uno sviluppo sostenibile? L’efficienza si valuta in relazione a parametri tecnico-naturalistici o è in relazione con la produttività economica derivata dal turismo? 

D.M.: È corretto parlare non di efficienza ma di efficacia. Il modello elaborato dal nostro studio valuta l’ente Parco nella sua capacità gestionale, ossia nella messa in atto di quelle politiche alla base dell’istituzione stessa del Parco: la conservazione e la tutela. In funzione della Legge Quadro sulle Aree Protette (394/ 1991) l’ente Parco ha obiettivi sia di tutela ambientale, sia di sviluppo economico, ovviamente sostenibile.

La metodologia MEVAP valuta l’efficacia dei Parchi nell’attuare questi obiettivi, basandosi su quattro direttrici fondamentali dello Sviluppo Sostenibile: ambiente, società, economia e governance. Di queste quattro, ambiente e governance sono quelle che maggiormente influiscono sulla valutazione. Il nostro non è un voler dare le pagelle ai gestori dei Parchi, bensì un’analisi tesa all’individuazione di eventuali punti critici sui quali proporre miglioramenti.

D.: Si può a Suo parere concepire in Italia l’ambiente naturale come una risorsa economica al pari di quella derivata dal patrimonio storico-artistico? In un momento delicato come questo la gestione dell’ambiente è un lusso o una necessità?

D.M.: È una necessità imprescindibile. Non a caso stiamo lavorando ad un volume dal titolo “Il Nostro Capitale”, intendendo con “Capitale” quello naturale, ben presente e diffuso in tutto il territorio nazionale. A differenza di quanto accade per il Capitale Culturale, quello Naturale viene sottoutilizzato, non viene cioè usato per fare economia sostenibile. Basterebbe prendere esempio da numerose gestioni nel resto del mondo per fare un uso sostenibile di risorse da noi abbondanti come l’acqua e la biodiversità.

A questo proposito prenderò parte al “Forum Aree Interne: Nuove strategie per la programmazione 2014-2020 della politica di coesione territoriale”, che si terrà a Rieti il 11 e 12 marzo, organizzato dal Dipartimento per lo Sviluppo e la Coesione Economica. Le aree interne soffrono di problemi legati all’abbandono e al degrado ma devono anzi essere convertiti in modello di sviluppo economico sostenibile. Si va verso un crescente bisogno di risorse idriche, forestali e suoli agricoli, tutti sistemi ecosistemici finora conservati ma che ora devono essere impiegati in maniera sostenibile. 

D.: Lei si occupa anche del progetto Life + Making Good Natura, che fra i suoi obiettivi ha l’elaborazione di strumenti per la valutazione biofisica dei servizi ecosistemici. Quale è la relazione fra beni e servizi ecosistemici e l’economia reale? E quale relazione c’è fra i beni immateriali come la bellezza paesaggistica  e l’economia reale?

D.M.: I servizi ecosistemici sono un prodotto del Capitale Naturale. L’ambiente ce li offre in maniera gratuita, ma hanno precise quantificazioni economiche. A partire dall’acqua, una risorsa non solo naturale ma anche economica reale, come l’irrigazione dei campi agricoli e l’indotto derivato dall’imbottigliamento delle acque minerali. Un altro esempio è la risorsa forestale che consente l’assorbimento dell’anidride carbonica: se l’Italia non rispetta le quote di emissione di CO2 è soggetta a multe da parte dell’Unione Europea.

Il nesso tra beni ambientali e servizi ecosistemici è dunque molto realistico in termini economici. Il paesaggio e la biodiversità hanno valenza economica, come nel caso del paesaggio alpino: le piste da sci e altre infrastrutture non spiegherebbero il successo turistico se non fosse per la qualità ambientale nel quale sono inserite.

Dal mantenimento di un determinato ecosistema, obiettivo della Rete Natura 2000, si trae una serie di benefici e servizi diversificati. Ad esempio, l’agricoltura multifunzionale produce cibo, ma anche biodiversità,  servizi economici e sociali; lo stesso fanno le Aree Protette. Allo stesso modo, il turismo naturalistico ha un impatto diversificato in termini economici, ambientali e sociali.

Inoltre è fondamentale considerare l’approccio dei costi mancati: il danno ambientale comporta un danno economico, come nel caso di frane e alluvioni. (l’ISPRA ha di recente valutato in 7 miliardi di euro in 10 anni il costo del dissesto ambientale, n.d.R.)

D.:  Nella discussione attorno alla gestione delle aree protette si parla molto di green economy: quale il ruolo di beni e servizi ecosistemici in un parco e quale quello della green economy?

D.M.: I beni ecosistemici, come l’acqua e i boschi, ci sono sempre stati, gratis. I loro utilizzi producono beni economici. Se si devolvesse il ricavato di questi guadagni alle Aree Protette che li tutelano, sarebbe un’operazione di green economy e si sopperirebbe alla carenza di fondi per il taglio della spesa pubblica.  Il problema è di governance: le risorse vanno gestite in modo che chi le conserva vada remunerato per questa conservazione.

D.: La conservazione della natura è una questione economica? Si può pensare allo sviluppo economico senza la conservazione dell’ambiente? 

D.M.: La tutela ambientale è una pre-condizione per un sistema economico e sociale. Se non conserviamo la fertilità del suolo non mangiamo più. Se non conserviamo i processi di regolazione del flusso idrico non beviamo più e non possiamo utilizzare l’acqua per l’agricoltura.

Se non c’è ambiente non c’è economia. Dare un valore all’ambiente significa capire qual è il peso nella vita economica da parte dell’ambiente.

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