Quello che investe l’Abruzzo in questi giorni potrebbe configurarsi come l’inizio di un vero e proprio “caso eolico”. Con il sostegno di amministrazioni ed imprenditoria, l’installazione dei 12 aerogeneratori previsti nel comune di Civitaluparella (CH) sta incontrando l’opposizione serrata di cittadini ed ambientalisti. Risale a pochi giorni fa, il ritrovamento sempre in Abruzzo di due grifoni tranciati a metà ai piedi di una pala eolica. Intanto è stato reso noto che l’Agenzia ONU per la Protezione dell’Ambiente già nel 2012 inviava una moratoria al Ministero dell’Ambiente per l’eolico selvaggio in Abruzzo.
A guidare la protesta sono LIPU, Stazione Ornitologica e Salviamo l’orso, appoggiati dal consigliere regionale Maurizio Acerbo (Prc) che ha recentemente depositato una proposta di moratoria del progetto di Civitaluparella.
Oggetto dell’indignazione comune non sarebbe neanche l’eolico in sé, quanto piuttosto una sua diffusione selvaggia realizzatasi a partire da una sorta di Far West autorizzativo, questa la definizione delle associazioni ambientaliste, che lamentano l’insufficiente considerazione attribuita all’effetto cumulativo degli impianti.
Il principio, in buona sostanza, è questo: l’impatto ambientale generato da più impianti è differente, oltre che accentuato, rispetto a quello prodotto dall’impianto singolo, e va pertanto secondo gli ambientalisti quantificato a parte, con strumenti come la Valutazione Ambientale Strategica (VAS).
Che l’eolico rappresenti un pericolo per l’avifauna è una di quelle nozioni facilmente reperibili, che si acquisiscono in maniera quasi meccanica, del cui significato ci si rende conto soltanto guardando un video , le cui immagini restituiscono un rapace in volo circolare al di sopra di una turbina. Cosa sta per succedere è facilmente intuibile, e chiudere gli occhi purtroppo non serve: un tonfo secco avverte lo spettatore che la pala ha urtato l’animale, il quale, tramortito, precipita lentamente a terra.
Quello descritto, come riportato sul blog di Maurizio Acerbo, potrebbe essere il destino cui sono andati incontro i due grifoni morti pochi giorni fa a Collarmele, nel parco del Sirente-Velino. L’ipotesi avvelenamento lascia infatti dubbiosi Stefano Allavena della Lipu ed il consigliere Acerbo, che non si spiegano come il veleno possa aver causato lo smembramento dei due animali.
Solo pochi giorni fa veniva reso noto il contenuto di una lettera indirizzata già nel 2012 al Ministero dell’Ambiente, in cui l’Agenzia ONU per la Protezione dell’Ambiente (UNEP) esprimeva forti preoccupazioni rispetto alle popolazioni abruzzesi di Nibbio reale (Milvus milvus), Nibbio bruno (Milvus migrans) e Lanario (Falco biarmicus) noti frequentatori dei territori in cui è alta la presenza di impianti eolici.
Sebbene manchi un censimento regionale degli impianti, diverse sono le province interessate, prima fra tutte l’Aquila, che secondo l’Associazione per la Tutela degli Uccelli Rapaci e dei loro Ambienti (Altura Abruzzo) conta ben 5 impianti eolici già realizzati e 23 progetti per i quali è in corso o sta per essere avviata una procedura di Valutazione d’Impatto Ambientale (VIA). A destare maggiori preoccupazioni tuttavia è la zona tra la Marsica e la Valle Peligna, importantissimo corridoio faunistico.
Proprio la presenza del Nibbio reale, recitava la nota dell’UNEP, assieme ad altre specie rapaci, ha contribuito al riconoscimento dell’area “Majella, Monti Pizzi e Monti Frentani” come Important Bird Area (I.B.A), ovvero sito importante per l’avifauna. Di quest’area tuttavia, solo quella i cui confini ricadono all’interno del Parco della Majella è riconosciuta come area di protezione speciale (Special Protection Area, S.P.A) e nel restante territorio, continuava il documento, sono state installate dal 2000 ben 188 turbine. L’UNEP proseguiva quindi richiamando l’attenzione di amministratori ed operatori del settore energetico rispetto alla risoluzione CMS 10.19 del 2011 su “Conservazione delle Specie Migranti e Cambiamenti Climatici” che stabilisce l’obbligo, per gli operatori del settore energetico e le parti coinvolte, di verificare che ad ogni azione attuata con l’obiettivo di mitigare gli effetti dei cambiamenti climatici corrispondano rispettive misure per la protezione dell’ambiente. Giusto per evitare che al fine di risolvere un problema se ne crei un altro.
La proliferazione dell’eolico in Abruzzo è un fenomeno che in molti conoscono: per averne testimonianza è sufficiente, percorrendo autostrade e strade della regione, guardarsi un po’ intorno.
Da lontano gli aerogeneratori risultano come bianche sculture, giganti pacifici. Piuttosto contrastanti sono invece i sentimenti che suscitano: alcuni li accusano di deturpare la bellezza del nostro paesaggio, altri li accettano come qualcosa di sgradevole, ma necessario, cui è necessario abituarsi se si intende far fronte in un’ottica di lungo periodo ai fabbisogni di una società dai folli consumi. Per alcuni comuni, la loro presenza può costituire però una voce in attivo del bilancio ed aiutare perfino i cittadini con i costi delle bollette.
I dati del 2013 vedono l’eolico, con 14.886 GWh, responsabile per quasi il 6% della produzione energetica netta, con un incremento rispetto al 2012 dell’11,6%, a testimonianza indiscussa di come il settore sia in crescita. Sottovalutarne il contributo nel soddisfare le esigenze energetiche del paese sarebbe altamente inopportuno. D’altra parte è sincera la preoccupazione di coloro che animano la protesta, e in fin dei conti ricalca il messaggio ormai datato dell’UNEP: altrettanto ingiusto ed inopportuno sarebbe sottovalutare le conseguenze per i rapaci ed in particolare per il nibbio, specie classificata come vulnerabile dall’IUCN, la cui importantissima presenza nel nostro paese merita pertanto di essere adeguatamente tutelata.