La siccità durata decenni in Africa ha raggiunto l’apice nel 1980, allorché il lago Ciad, utilizzato per tutte le coltivazioni vicine, venne quasi prosciugato. Mentre allora si incolparono le pessime tecniche agricole e lo sfruttamento eccessivo dei pascoli, oggi un nuovo studio della Washington University, pubblicato su Geophysical Research Letters, ritiene che il responsabile maggiore sia stato, almeno in parte, l’inquinamento atmosferico dell’emisfero settentrionale.
Le precipitazioni globali cambiano nei periodi 1931-1950 e 1961-1980. In particolare, il Sahel africano è molto più asciutto (zone colorate in arancione), mentre l’Africa sudorientale e il Brasile orientale sono più umidi (zone in blu). Fonte: Washington University
Nel corso degli anni Sessanta, Settanta e Ottanta, gli aerosol provenienti dalle fabbriche a carbone statunitensi ed europee raffreddarono l’intero emisfero settentrionale della Terra, sospingendo le fasce pluviali tropicali verso Sud e riversando le piogge oltre il Sahel, la parte centroafricana che si estende sotto il deserto del Sahara.
Quando si iniziò a “ripulire” l’aria, grazie ad opportuni interventi legislativi, le condizioni migliorarono.
Si comprese subito che esisteva una connessione tra l’inquinamento da carbone e la siccità del Sahel, ma questo è il primo studio che ha esaminato decenni di osservazioni storiche per concludere che la siccità era parte di un cambiamento generale nelle precipitazioni tropicali.
Si iniziò allora a studiare modelli climatici per capirne i meccanismi evolutivi.
“Il nostro procedimento punta a studiare non le precipitazioni su luoghi particolari”, dice Yien-Tin Hwang, studioso di scienze dell’atmosfera. “Noi abbiamo esaminato il comportamento di modelli su larga scala”.
Per determinare che la siccità del Sahel era parte di un cambiamento più ampio, i ricercatori hanno esaminato le letture continue dei pluviometri dal 1930 al 1990. Negli anni 70 e 80 sul bordo settentrionale della fascia tropicale (India del Nord e Sudamerica) sono stati rilevati climi più secchi, mentre nel Nordest del Brasile e nella regione africana dei Grandi Laghi i climi sono risultati più umidi del normale.
Sono stati esaminati tutti i 26 modelli climatici usati dall’Intergovernmental Panel on Climate Change e in quasi tutti sono stati riscontrati spostamenti delle precipitazioni verso il Sud causati pincipalmente dai solfati presenti nell’aerosol atmosferico dell’emisfero settentrionale.
“Queste particelle non inquinano solo l’aria a livello locale, ma hanno effetti climatici a distanza”, ha dichiarato Hwang.
Gli aerosol contenenti solfati di colore chiaro sono emissioni della combustione del carbone. L’aria diviene più nebbiosa, riflette la luce solare e le nubi aumentano il potere riflettente.
Nell’emisfero settentrionale non è stato avvertito il raffreddamento perché veniva bilanciato dal riscaldamento per l’effetto serra legato all’anidride carbonica atmosferica e quindi le temperature rimanevano costanti.
“Si pensava alla siccità africana come la conseguenza di un’agricoltura arretrata e della desertificazione”, ha affermato Dargan Frierson, professore di Scienze atmosferiche alla UW. “Abbiamo verificato che dai modelli atmosferici e oceanici eseguiti su larga scala si comprendono meglio le zone di formazione delle precipitazioni. I modelli non mostrano comunque uno spostamento delle precipitazioni così rilevante come quello osservato, suggerendo che anche la circolazione oceanica potrebbe aver avuto un suo ruolo”.
Il lavoro di “pulizia dell’aria” posto in essere dagli Stati Uniti con il progetto Clean Air Act e dall’Europa con procedure analoghe, hanno avuto ricadute positive non solo sulle regioni interessate.
E infatti, sebbene la siccità a breve termine continui a colpire il Sahel, dal 1980 il lungo periodo di siccità non si è più verificato.
“Siamo stati in grado di fare qualcosa di positivo per noi, ma di questo ne hanno beneficiato anche le popolazioni da noi più lontane”, ha commentato Frierson.