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Riforestazione e foreste pluviali, gli scienziati iniziano a capire come fare

Scritto da Redazione di Gaianews.it il 18.05.2011

Una foresta pluviale

Una foresta tropicale è facile da abbattere, ma farla ricrescere è un’altra storia. In un numero speciale della rivista Forest Ecology and Management, svolta dai ricercatori dello Smithsonian a Panama e in tutta l’America Latina, offre spunti nuovi per il rimboschimento basati su 20 anni di ricerca.

“Venti anni fa, non avevamo quasi nessuna informazione su come (ri)costruire una foresta”, ha detto Jefferson Hall, scienziato presso lo Smithsonian Institute e principale autore del nuovo speciale di Forest Ecology and Management. “La gente pianta spesso alcune specie non indigene come il teak, il pino, l’eucalipto o l’acacia in quanto il loro legname ha un relativamente alto valore economico – oppure utilizza un processo per tentativi ed errori per piantare altre specie, che non ha sempre successo. Ora però possiamo agire in modo più mirato e sappiamo perché piantare certi alberi in certi luoghi, e possiamo aiutare i proprietari terrieri e gli agricoltori rurali ad utilizzare queste conoscenze”.

Le foreste mantengono l’acqua e l’aria pulite, controllano dell’erosione del suolo, immagazzinano carbonio, fanno da ricovero per gli animali e fanno hanno piante al loro intero che offrono un’intera farmacopea.Il progetto Agua Salud nel bacino del Canale di Panama, finanziato in partenariato con il Climate HSBC e pubblicato sul numero speciale, è un esperimento su 700 ettari che esamina cosa le foreste forniscono all’ecosistema. Alcuni dei più importanti sono l’acqua per la popolazione e per il canale, lo stoccaggio del carbonio per mitigare il riscaldamento globale e la tutela della biodiversità nel corridoio biologico cruciale tra Nord e Sud America.

“Le foreste tropicali native sono qui sono tra le dei più ricche sulla Terra”, ha detto Eldredge Bermingham, direttore del Smithsonian Tropical Research Institute. “Ora la scienza che sta dietro al recupero boschivo in questo ambiente tropicale ha raggiunto un tale livello di sofisticazione che i progetti di riforestazione possono essere progettati per obbiettivi multipli – immagazzinare carbonio, gestire le risorse idriche e la conservazione della biodiversità, fare da cuscinetto di protezione per le foreste primarie – quella parte di foresta ancora vergine –  e per fornire un forte ritorno sugli investimenti.”

La gestione delle foreste per i servizi ecosistemici richiede compromessi. Un ettaro di bosco di teak immagazzina carbonio tanto quanto una foresta originaria solo dopo 20 anni, ma la biodiversità che potrà ospitare sarà molto inferiore. Nella ricerca “Agua Salud” gli scienziati hanno mescolato questa pianta con specie native. I loro dati prevedono che alcuni mix supereranno la capacità di stoccaggio del solo teck e la capacità di supportare molte più piante ed animali.

In un esperimento, il suolo in cui era presente una piantagione di teak aveva perso una quantità enorme di carbonio in meno di 10 anni. In un altro esperimento non molto lontano, gli scienziati hanno scoperto che i livelli di carbonio del suolo non era cambiata. Questo significa che la foresta nativa riesce a immagazzinare carbonio nel suolo, anche se il teak riesce a fissare più carbonio nella vegetazione. Questo suggerisce che mentre le foreste secondarie non possono immagazzinare la stessa quantità di carbonio in superficie come fanno le piantagioni, si comportano meglio nel mantenere le riserve di carbonio del suolo. Tale scoperta evidenzia come sia importante giungere ad un compromesso tra la produzione di legname di buona qualità per il mercato ed una buona gestione del territorio.

Le informazioni scientifiche per poter attuare con efficacia il rimboschimento sono tanto più necessarie in un mondo dove la metà delle foreste tropicali sono foreste secondarie in crescita nei terreni agricoli e nei pascoli abbandonati a causa del crollo di produttività, una caratteristica del suolo denudato nelle aree tropicali. La ricerca ha analizzato oltre 60 specie di alberi coltivati ​​a Panama. Gli alberi autoctoni spesso crescono bene nei progetti di recupero della foresta, perché si sono adattati alle condizioni locali. Ad esempio l’amarillo (Amazzonia Terminalia), una specie di albero nativo di Panama e dei paesi limitrofi, cresce come o meglio del teak sui suoli degradati delle aree agricole nelle zone umide e viene venduto per lo stesso valore del teak nel mercato del legname. Il cocobolo (Dalbergia retusa), un legno di grande valore, cresce particolarmente bene rispetto ad altre specie in luoghi asciutti e con suoli relativamente sterili.

In America Latina, conclude la ricerca, c’è ormai una massa critica di informazioni disponibili per iniziare a ricreare paesaggi forestali dalle ceneri della distruzione perpetrata negli ultimi decenni e che purtroppo sta ancora continuando.

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